Lina Wertmüller e il legame con Napoli, una grande storia d’amore e d’anarchia

Lina Wertmüller e il legame con Napoli, una grande storia d’amore e d’anarchia
di Luciano Giannini
Giovedì 9 Dicembre 2021, 23:50 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 09:24
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«È una domenica sera di novembre», documentario Rai del 1981. Lo firma Lina Wertmuller. Il terremoto ha colpito Irpinia, Basilicata, Napoli e la regista romana mostra le immagini del cataclisma, intervista gli scampati, gli intellettuali. Dichiara: «Vorrei che questo filmato risvegli il senso delle radici di tutto il Paese; non permettiamo che il sisma le trascini via con sé assieme alle case e alla gente. Ricordiamoci che il futuro è antico». Pensieri saggi. Dimostrano la passione che la Wertmuller aveva nei confronti del Sud del mondo. E, in particolare per Napoli. 

Le sue parole, manifestate in più occasioni, e i suoi film, lo confermano: «Questa città è una perla antica»; «Vorrei essere stata partorita qui»; «Luciano De Crescenzo ha scritto che Gesù è nato a Napoli.

La prima volta in Palestina, tutte le altre volte a Napoli. Sono d’accordo con lui»; oppure: «C’è qualcosa qui che non ho trovato in nessun altro posto». Frase spontanea pronunciata il 22 dicembre del 2015 quando, a 87 anni, l’allora sindaco De Magistris la rese cittadina onoraria.

Leggete lo scambio di battute con i cronisti, quella mattina: «Chiunque si occupi di spettacolo deve prima o poi fare i conti con Napoli». Che ha di particolare questa città? «Che ve devo di’, è ‘na carta sporca... basterebbe Pino Daniele. Pensate a quant’è lunga l’Italia, lunga e stretta, piena di regni, e di culture, diverse. Eppure, ragazzi, ci sarà una ragione per cui Napoli produce quella musica». Era stata lei stessa a confidare il proprio desiderio durante una edizione del festival «Capri Hollywood»: «La cittadinanza onoraria della città, cui devo tanto, è un grande desiderio ancora non realizzato». Napoli l’accontentò presto.

Basta un nonno di origini partenopee, peraltro da lei mai conosciuto, per motivare quest’amore? Forse no. Forse bisogna cercare più a fondo; per esempio, tra le caratteristiche della sua prorompente personalità: «Sono una donna piena di eccessi e, forse, il grottesco stilisticamente mi corrisponde. Amo deformare la realtà, perché soltanto così riesco a raccontarla. Anche l’eros vi si intona meglio». Ecco, forse la Wertmuller trovava in questa terra una creatura, femminile come lei, che manifesta gli stessi eccessi, l’identica indole tesa ad alterare la realtà quotidiana per assecondare la propria identità, quasi sempre inconscia, costruita attraverso i millenni della Storia.

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Quanti suoi film hanno la città come regina? «E Napoli canta!», di cui fu segretaria di edizione; «Pasqualino settebellezze», che gli procurò le candidature agli Oscar; «Ferdinando e Carolina», «Io speriamo che me la cavo»; con la Loren «Sabato, domenica e lunedì» e, per la tv «Francesca e Nunziata»; «Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti», «Peperoni ripieni e pesci in faccia», il progetto, che non ha visto la luce, su Salvatore Di Giacomo, titolo: «Luntanamente». 

Chi ama questa città, lo stesso sentimento nutre per la sua gente, i suoi artisti; Isa Danieli, per esempio: «Un giorno triste per me. Ho perso un’amica cara, carissima. Ho condiviso con lei dolori e gioie. Conosceva tutta la mia famiglia, prese con sé mia cognata come sarta, portava sul set i miei nipoti appena ne aveva l’occasione. La conobbi al provino di “Storia d’amore e d’anarchia”. Si scusò perché il mio personaggio aveva poche battute, ma mi bastarono. “Tu sei quella che lavora con Eduardo?”. Sì, risposi. Avevo visto “I basilischi” e me ne ero innamorata. Tanto che promisi a me stessa: “Il primo film che farò, sarà con quella donna”. E così fu. Alla fine, dette fiducia alla giovane attrice che ero allora, nel film mi fece cantare anche una canzone, e mi ha sempre chiamato, dopo, tutte le volte che ha potuto». 

In «Io speriamo che me la cavo», con Paolo Villaggio, dal libro di D’Orta, nel cast c’era un giovanissimo Adriano Pantaleo, oggi tra i quattro paladini del Nest, allora, 8 anni, uno «scetato scugnizzo. Mio padre iscrisse al provino me e mia sorella. Avremmo dovuto leggere un passo del libro. Ma io non preparai nulla. Si spensero le luci e ci stavamo mandando via. “E io? Non mi sentite”?», dissi ad alta voce; “ma tu non conosci la parte”; «so una poesia sul papà”. Lina mi scrutò, intuì qualcosa e ordinò: “Riaccendete, fatelo dire”. Oggi le devo tutto. Perché tutto cominciò su quel set. L’ho frequentata anche in seguito. Ogni tanto, quand’ero a Roma, la chiamavo, sul numero fisso della sua bellissima casa-labirinto a Piazza del popolo e lei mi accoglieva, mi lasciava parlare, mi ascoltava. Ora preparo un documentario sui 30 anni di quel film, che cadranno nel 2022. E avrò modo di renderle omaggio. Grazie Lina».

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