Luigi Magni, il ritratto del regista di Proietti
«Addio al Papa Re del nostro cinema»

Luigi Magni, il ritratto del regista di Proietti «Addio al Papa Re del nostro cinema»
di Gigi Proietti
Lunedì 28 Ottobre 2013, 08:45
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Quando gli organizzammo la festa degli 81 anni, al Teatro dell’Angelo di Roma, scrissi per lui un sonetto, che non riesco pi a trovare. Finiva con un verso che pi o meno recita: Di grandi ce ne stanno tanti, di Magni uno solo. Gigi Magni era davvero unico. Un uomo colto, sapiente, drammaturgo e sceneggiatore bravissimo. Regista di teatro e di cinema che ci ha regalato cose destinate ad essere non solo ricordate, ma riproposte. Indimenticabile il suo linguaggio. Non si è mai trattato del romanesco puro e semplice, o del gergo che va oggi per la maggiore. Il suo vernacolo era rispettoso del lessico antico, pescava termini preziosi dalla parlata quotidiana dei romani di rango, non tanto, o non solo, nell’oggi imbastardito e impoverito.



Ho interpretato, di Magni, testi bellissimi. Ricordo il Ghetanaccio, al Brancaccio di Roma prima versione, nel 1980, quando era ancora in piedi il mio “Laboratorio di esercitazioni sceniche”. Magni scrisse la storia di Ghetano Santangelo, burattinaio rivoluzionario che agisce nella Roma papalina di fine Ottocento, inventore di Rugantino e noto per una fenomenale pernacchia che riservava ai nobili. La sua vita si svolgeva nelle piazze, sotto i palazzi nobiliari, dove rappresentava i suoi spettacoli, oppure in galera, dove finiva regolarmente dopo le rappresentazioni. Ghetanaccio tornava però regolarmente sotto i palazzi dei nobili e ricominciava daccapo. La sua donna, Nina, si butta nel Tevere perché delusa dall’unico compromesso accettato dal compagno, per non morire di fame. Di quello spettacolo fanno parte canzoni che non ho più abbandonato, Me viè da piagne, il Tango della Morte o Patisce er core mio. Ricordo un giorno, stavo seduto in platea con Gigi, che allora faceva anche il cinema. Mi lamentavo del costo dell’allestimento, dei tempi stretti, della preoccupazione che avevo addosso di non arrivare pronto alla “prima”. E lui, a un certo punto: «Fatte da’ artri quindici giorni!», la famosa “prorata” di chi ha esigenza di girare un paio di settimane in più. Finì in una gran risata. Ricordo anche la tremenda fatica dei Sette re di Roma, spettacolo in cui - il copione di Magni è fantastico, le musiche le ha composte Nicola Piovani - interpretavo dieci o undici personaggi: i sette re, da Romolo a Tarquinio Prisco, uno dopo l’altro, il fauno Luperco, il fiume Tevere, il pastore Faustolo... Memorabile. Anche del cinema ho memorie indelebili.



La Tosca, con le musiche di Armando Trovajoli, con Gassman nei panni di Scarpia, la Vitti in quelli di Floria la cantatrice e Fabrizi alto prelato, è una tappa fondamentale della mia carriera. C’è stata, ultimamente, l’idea di portare a teatro questa Tosca insieme colta e popolare, ma poi anche Trovajoli ci ha lasciato e non ne abbiamo fatto nulla. Certo, a questo punto dovrei passare io nella parte di Scarpia, quella che allora fu di Vittorio, e trovare un pischello che faccia il pittore patriota. Ma ora stiamo invece parlando dell’ennesimo addio. Non posso non pensare che tanti, troppi amici ci stanno lasciando. L’altro giorno, ad appena 56 anni, è mancato pure Riccardo Cavallo, il regista del “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare che al Globe Theatre è diventato un vero cult. Sono commiati forzati che non vorremmo mai vivere. A Gigi, campione di humour, intellettuale piacevolissimo, compagno di tante serate, ripeto volentieri quel verso, coniato in occasione di un compleanno: «Di grandi ce ne so’ tanti, di Magni uno solo».
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