Marco Bellocchio Palma d'oro d'onore al Festival di Cannes: «Premiato per la mia vitalità»

Marco Bellocchio Palma d'oro d'onore al Festival di Cannes: «Premiato per la mia vitalità»
di Titta Fiore
Mercoledì 23 Giugno 2021, 14:00
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«I premi? Servono ad andare avanti, aiutano a realizzare nuovi progetti». Marco Bellocchio, 81 anni, maestro ribelle del cinema italiano, ne riceverà uno importantissimo nella serata finale del Festival di Cannes (6-17 luglio): la Palma d'oro d'onore per il complesso dell'opera, un riconoscimento che finora è stato assegnato solo a cinque registi (Clint Eastwood, Agnès Varda, Francis Ford Coppola, Bernardo Bertolucci e Manoel De Oliveira) e nella cerimonia di apertura verrà consegnato anche a Jodie Foster. Contento, è contento, «ma sono felice anche della mia vita», dice, «i premi fanno parte di un percorso, io non li ho mai chiesti né mi sono disperato per averli, eppure sono arrivati, sono un riconoscimento al lavoro fatto, non li vivo come una ricompensa». La Palma d'oro «troverà posto in libreria», tra il Leone alla carriera, il Pardo di Locarno, i tanti David di Donatello e Nastri d'argento: «Rappresentano momenti collegati alla storia di un autore, alla sua età. Certo, Cannes è importante perché è uno sguardo sul mondo, ci sono stato tante volte e ne conosco i riti, eppure non ho mai vinto, se non in maniera indiretta con gli attori di Salto nel vuoto, Anouk Aimée e Michel Piccoli». 

Al Festival sarà anche presentato, in anteprima mondiale, il suo nuovo film, «Marx può aspettare», che uscirà contemporaneamente in Italia il 15 luglio, distribuito da 01.

Un documentario cominciato cinque anni fa partendo da «uno spunto personalissimo», una riunione con fratelli, mogli, figli e nipoti per festeggiare vari compleanni. «Avevo organizzato il pranzo con l'idea di girare un film sulla mia famiglia, ma non avevo le idee chiare. In realtà, lo scopo era un altro, fare un film su Camillo, l'angelo, il protagonista di questa storia». Camillo, il fratello gemello del regista, morto suicida a 29 anni nel 1968. «Una vicenda totalmente autobiografica, ma che vuole essere universale, altrimenti che interesse avrebbe? Sono partito da una riflessione sul dolore dei sopravvissuti, ma il film non è patetico né nostalgico, combina la mia vita con il mio lavoro da regista, del resto se Frémaux ha deciso di presentarlo a un pubblico internazionale suppongo che abbia al suo interno sentimenti ed emozioni che non riguardano solo la famiglia Bellocchio e la nostra vita a Bobbio». All'inizio avrebbe voluto intitolarlo «L'urlo», poi ha scelto un titolo «quasi ironico su una vicenda che non lo è affatto», legato a un momento di leggerezza nei rapporti con il fratello gemello: «Camillo morì in un anno rivoluzionario, il 68, l'anno della contestazione, della libertà sessuale, del Maggio francese, dell'invasione della Cecoslovacchia, ma tutte quelle rivoluzioni passarono accanto alla sua vita, non lo interessarono. Marx può aspettare, mi disse l'ultima volta che ci incontrammo». 

 

Dopo il successo del film su Tommaso Buscetta, «Il Traditore», ora Bellocchio sta girando la serie «Esterno notte», che rappresenta «il controcanto» al suo film sul caso Moro «Buongiorno, notte» del 2003, un episodio per ciascun protagonista di quei tragici fatti, e si prepara a tornare sul set, l'anno prossimo, per raccontare il sequestro di Edgardo Mortara, il bambino ebreo che nel 1858 fu allontanato dalla famiglia d'origine per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX: «Una storia che mi interessa moltissimo», puntualizza il regista, e che aveva interessato per lungo tempo anche Spielberg. Più di cinquant'anni di carriera, venticinque film che fanno parte della storia del cinema italiano, un'immutata energia, lo spirito libero di sempre: «Posso dire con un pizzico di presunzione che questa vitalità l'ho difesa, a differenza di altri colleghi che si sono sbriciolati nel tempo. La vitalità va difesa e io penso di averlo fatto e per questo mi trovo a lavorare ancora oggi in modo, per così dire, vivace». 

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