Marco D'Amore Nastro d'Argento alla migliore opera prima: «Che intreccio emotivo con Servillo»

Marco D'Amore Nastro d'Argento alla migliore opera prima: «Che intreccio emotivo con Servillo»
di Titta Fiore
Martedì 7 Luglio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 9 Luglio, 12:03
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Il Nastro d'argento per l'opera prima completa la stagione trionfale del film di Marco D'Amore: «L'Immortale» aveva già sbaragliato la concorrenza al botteghino (con quasi sette milioni d'incasso), affermandosi come terzo miglior esordio di sempre per un racconto non di commedia, e ieri è stato tra i protagonisti della serata organizzata dal Sindacato Giornalisti Cinematografici al Maxxi di Roma, andata in diretta su Rai Movie. Dice il regista e attore che ha «riportato in vita» il personaggio iconico di Ciro Di Marzio: «Da ragazzo sono stato un lettore appassionato dei libri di recensioni di Flaiano e Garboli, conosco il valore di uno sguardo attento e competente sul nostro lavoro, quindi, ricevere un premio dalla stampa specializzata mi rende molto felice. E poi c'è un'altra cosa che mi ha colpito particolarmente».
 


Quale?
«Vincere nella stessa sera in cui un maestro e un amico come Toni Servillo riceve il Nastro d'argento alla carriera è stata una coincidenza emotiva fortissima. Le nostre vite continuano a intrecciarsi in maniera incredibile».

Con Servillo ha recitato in teatro nella tournée internazionale della «Trilogia della villeggiatura» e al cinema in «Una vita tranquilla». Che cosa ha imparato stando al suo fianco?
«Che la vita e il mestiere devono coincidere. E che il rigore è necessario, anche a costo della solitudine».

Il teatro è gelo, disse Eduardo nel suo celebre testamento artistico sul palco di Taormina.
«Il rigore può prevedere delle rinunce, e Toni lo dimostra con i fatti: per lui l'essere conta più dell'apparire e la perfezione è un obiettivo cui bisogna tendere fino all'ultimo grammo di energia creativa. Sento di avere il suo stampo. Ma faccio le cose con uno slancio emotivo diverso. Diciamo che sono più tellurico, mi commuovo di più».

Si aspettava il successo dell'«Immortale»?
«Penso che il film meritasse il riconoscimento dei risultati che ha ottenuto».

E ora sta per partire la quinta serie di «Gomorra». 
«La stiamo preparando. Avremmo dovuto cominciare la scorsa primavera, poi l'arrivo del Covid ha bloccato tutto. Condivido con Claudio Cupellini non solo la regia delle puntate della serie, ma l'intera direzione artistica. Lavoriamo insieme in un'intesa perfetta di intenti e sentimenti. Una grandissima palestra».

La pandemia cambierà i vostri metodi di produzione?
«Necessariamente. I protocolli rigidissimi stanno influendo sulla creatività in modo anche interessante. Cominceremo in autunno inoltrato, per capire come evolve la situazione, e andremo avanti per più di trenta settimane di riprese».

Cosa accadrà? La scena finale del suo film, con l'incontro tra Ciro l'Immortale e Genny Savastano, apre a scenari imprevedibili.
«Quella sequenza ha avuto applausi a scena aperta da Pordenone a Canicattì, è la forza del cinema. Che cosa si vedrà? Tutto ciò che il pubblico non si aspetta, come nella migliore tradizione di Gomorra. Il film ha offerto alla quinta stagione un assist incredibile, sentiamo la responsabilità di realizzare un prodotto di grande qualità».

Come ha vissuto la quarantena?
«Ho riscoperto il piacere di vivere in casa, con le persone che amo. Per lavoro sono sempre in giro, sempre di corsa. In questi mesi mi sono goduto la famiglia».

Niente smart working?
«Certo, con Francesco Ghiaccio stiamo scrivendo un progetto seriale, che però potrebbe diventare anche il mio secondo film o il suo terzo lungometraggio. Ce la giocheremo a dadi. In ogni caso, non ci faremo cogliere impreparati, abbiamo tante storie nel cassetto, pronte per il teatro, il cinema o per la narrativa. Vedremo».

A chi dedica il premio?
«Alla famiglia, voglio chiedere scusa per il tempo che sottraggo al loro affetto seguendo la mia magnifica ossessione». 

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