Martone: «Io, il regista del Rione Sanità; ecco come tutto è nato»

Martone: «Io, il regista del Rione Sanità; ecco come tutto è nato»
di Mario Martone
Domenica 10 Luglio 2022, 09:29
5 Minuti di Lettura

Per gentile concessione delle edizioni San Gennaro pubblichiamo il testo di Mario Martone contenuto in «Nostalgia sul set del rione Sanità».

Cosa conoscevo della Sanità? Negli anni Ottanta ci si veniva a ballare al Kgb. Nel 93 filmai le catacombe di San Gaudioso, infiltrandomi con Nino Longobardi in quell'antro oscuro allora chiuso al pubblico e scarsamente illuminato, in cui Nino mi mostrava con una torcia l'impasto misterioso di ossa e pittura... Successivamente filmai il cimitero delle Fontanelle e scorci del complesso di San Gennaro per i documentari su Luca Giordano e Caravaggio. Venivo a vedere le mostre che organizzava Peppe Morra al Palazzo dello Spagnolo appena restaurato. Non ho tanti altri ricordi. Avamposti: la Sanità era, ed è, un'enclave a Napoli, lontana com'è dal mare. Durante le mie camminate per «Nostalgia», in estate, ho colto uno scambio tra due signore: «Vai al mare?», «Eh, o mare sta a Mergellina... Ccà stamme ncopp' e Cinesi», che esprimeva bene il senso di una distanza quasi incolmabile. E così, la gente della Sanità, che ho imparato a conoscere passo passo, costituisce quasi un popolo a sé. Leggere Nostalgia di Ermanno Rea significa capire profondamente le ragioni storiche, politiche, sociali e umane di questa distanza.

Ma come sono arrivato a leggere il romanzo? Tutto è iniziato a San Giovanni a Teduccio (quanta Napoli lontana dal centro, tanto sofferta quanto propulsiva!), dove mi ero deciso a mettere in scena il mio primo Eduardo, «Il sindaco del rione Sanità», con Francesco Di Leva e i ragazzi del Nest.

Quel fortunato spettacolo diventò un film, e il terzo atto del dramma di Eduardo era ambientato alla Sanità. Ancora una volta e questa con un affondo importante mi trovavo a portare la macchina da presa in quel quartiere. Pochi tocchi: ambientai la casa di Antonio Barracano nel Palazzo Sanfelice, l'accoltellamento nella pasticceria di Ciro Poppella, l'arrivo dalla casa al Vesuvio davanti alla basilica.

Fu pochi mesi dopo che il produttore Luciano Stella mi propose di leggere Nostalgia di Ermanno Rea. Ippolita di Majo, con cui scrivo i miei film, lo aveva adocchiato, intuiva che poteva esserci qualcosa di molto interessante. A differenza di me conosceva abbastanza bene la Sanità, e io che tendo a muovermi da un film all'altro come in un arcipelago, non potevo non essere colpito dalla possibilità di tornare sui miei recenti passi. Mi immersi perciò nella lettura e innanzitutto ritrovai Ermanno. Ci eravamo conosciuti e amati ai tempi di Caccioppoli e Francesca Spada, ossia in quei primi anni Novanta in cui io realizzai «Morte di un matematico napoletano» ed Ermanno pubblicò Mistero napoletano, due opere sorelle. Nel tempo ci eravamo incontrati e sempre con affetto, ma mai più frequentati. Ora Ermanno non c'era più e io mi ritrovavo con questo libro tra le mani come una mappa, come uno scrigno: come una scatola nera. Conteneva tutte le informazioni per intraprendere un viaggio nel cuore della Sanità, ma allo stesso tempo conteneva una storia potente, dei personaggi che si stagliavano con la forza di quelli di Eduardo e che effettivamente valeva la pena di provare a estrarre dal libro affinché diventassero i protagonisti di una sceneggiatura, e poi di un film.

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Il protagonista del romanzo, Felice Lasco, tornava a Napoli dopo più di quarant'anni di assenza, la sua stessa lingua era cambiata. Ecco che avevo bisogno di un attore non napoletano per costruire un vero straniamento: era l'occasione per lavorare con Pierfrancesco Favino. Gli proposi il ruolo prima di cominciare a scrivere la sceneggiatura con Ippolita. Lo attrasse: e così Felice Lasco è stato Favino sin da quando abbiamo cominciato a scrivere il film.

Da quel momento si è cominciato a camminare... Spesso i miei film sono fatti camminando e sono pieni di camminate: ma qui camminare significava soprattutto incontrare. Incontrare padre Loffredo, che ti accoglie, e i ragazzi che sono il suo piccolo esercito Incontrare nell'oscurità chi ti sente estraneo. Incontrare allo stesso tempo il fatalismo e la voglia di riscatto. Incontrare il mondo. I temi di «Nostalgia» si facevano immediatamente universali perché l'enclave in cui volevo girare questo film senza mai uscirne si faceva mondo. Forse proprio la chiusura, aiutava. La conca della Sanità, sovrastata dal ponte che la attraversa come fosse una coltellata, mi consentiva di realizzare cinematograficamente un labirinto, o una scacchiera. I personaggi, vuoi Teseo, Arianna e il Minotauro, vuoi re, alfieri e torri, erano tutt'uno con il luogo senza il quale non sarebbero potuti esistere. E così arrivai alla decisione che credo sia stata la chiave di volta di questo film: quella di girarlo in strada, con le persone della Sanità, immergendo tutto nella vita vera, assumendone i rischi e cogliendone le potenzialità.

Ho passato settimane a incontrare persone che ad una ad una ho voluto nel film, nei ruoli piccoli o piccolissimi ma che per me erano tutti decisivi. Si è composto un set in cui tutti eravamo immersi nella realtà. Alla fine delle riprese eravamo eccitati e coinvolti, tutti. Sì, avevamo girato un film, ma era come se ciò che avevamo vissuto fosse andato oltre l'esperienza cinematografica. Ci è sembrato di appartenere a un mondo, al quale oggi siamo profondamente grati. Come sempre al cinema, il set svanisce, ma nel film, «Nostalgia», quell'esperienza si vede tutta, gli ha dato il cuore.

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