Neri Parenti, il Covid, Boldi-De Sica, il "lockdown Maradona": «I cinepanettoni, la mia condanna»

Neri Parenti, il Covid, Boldi-De Sica, il "lockdown Maradona": «I cinepanettoni sono la mia condanna»
Neri Parenti, il Covid, Boldi-De Sica, il "lockdown Maradona": «I cinepanettoni sono la mia condanna»
di Alessandro Strabioli
Giovedì 7 Gennaio 2021, 13:40 - Ultimo agg. 28 Settembre, 12:01
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Due palle… di Natale – titolo del nuovo libro di Neri Parenti – sono da intendersi nel significato proprio del termine, come scocciature, inconvenienti, guai da risolvere. Neri Parenti, come dice lui stesso, è nato con una spada di Damocle sulla testa: i film di Natale. Una cinquantina di pellicole uscite sempre durante il periodo natalizio. Una spada di Damocle che però per il regista fiorentino è stata anche un modo tutto suo di approcciare il cinema e la vita. Del set ama ogni cosa, anche le litigate, i problemi, gli ostacoli. E ne ha passate tante e molto ha da dire: il rapporto non sempre facile con i produttori, le comparsate nei film di personaggi straordinari, le stravaganze delle attrici e degli attori, le raccomandate dall’alto, le location più assurde. È così che «dopo che è passata tanta acqua sotto i ponti, ti accorgi che quelli che sembravano problemi e avversità, col senno di poi, sono anche avventure che meritano di essere raccontate». 

Neri Parenti, fiorentino, laureato in Scienze Politiche e figlio del rettore dell’Università di Firenze. Com’era Neri da ragazzo? Ha sempre voluto fare cinema?

Ero un ragazzo come tanti, d’estrazione borghese che frequentava alla fine sempre le stesse persone. Il cinema è stato però fin da subito una grande passione e all’epoca vedevo tantissimi film. Poi ho avuto l’occasione di venire a Roma per fare un apprendistato giornalistico in Rai grazie al quale sono potuto entrare di straforo nel mondo del cinema e me ne sono innamorato.

In questo periodo difficilissimo per il mondo dello spettacolo è uscito il suo film di natale In Vacanza su Marte. Com’è stato girare un film in piena pandemia?

Beh devo dire che per noi è stato piuttosto facile perché il film è stato concepito e scritto proprio tenendo conto delle grandi difficoltà che avremmo potuto incontrare a causa del Covid. È per questo che stavolta abbiamo scelto Marte, un luogo di fantasia che potevamo gestire a nostro piacimento. Abbiamo così diviso il film in due parti: una girata interamente a Cinecittà, ambiente già protocollato di suo, e l’altra in un albergo chiuso, dove siamo stati molto meticolosi nel seguire le norme e le precauzioni del caso. Pensa che noi avevamo tamponato un certo numero di comparse e solo quelle potevano accedere alle riprese. Insomma, eravamo in una bolla vera e propria. 

Il su libro Due Palle… di Natale è pieno di aneddoti e retroscena divertenti. Quando ci fu bisogno di un co-regista per un film diretto da Paolo Villaggio e gli proposero lei, Villaggio ne fu entusiasta. Ma il vostro primo incontro non è andato poi così bene…

Non è andato così liscio perché lui pensava che io fossi un altro.

Io avevo già fatto con Paolo qualche altro film come aiuto regista. Ma non ci eravamo mai veramente conosciuti o probabilmente lui m’aveva confuso con qualcun altro. Così quando gli fecero il mio nome per affiancarlo nella regia lui accettò con entusiasmo. Poi quando mi presentai a casa sua mi guardò stupito e mi disse: «Ma io pensavo che Neri Parenti fosse un altro, mi sono sbagliato». Feci per andarmene mestamente quando Paolo mi fermò: «Vabbè, ormai sei qui…facciamo questo film». 

Com’è nato il sodalizio Boldi-De Sica?

Beh gli artefici sono stati Carlo Vanzina e De Laurentis. Erano partiti da un gruppo più folto di attori che pian pian s’è ridotto alla coppia Boldi-De Sica. Io la coppia me la son trovata già bella che pronta. E il primo film di Natale che abbiamo girato insieme è stato Vacanze di Natale '95

Allora le chiedo com’è finito…

Certamente senza nessun litigio. È stata una fine legata alle diverse scadenze contrattuali. Il resto è solo gossip. 

In Tifosi il cameo di Maradona. Com’è andata?

Beh più che un cameo direi una parte vera e propria. L’idea fu di Aurelio De Laurentis che era da poco diventato presidente del Napoli. Maradona però all’epoca stava vivendo un periodo molto difficile, in più aveva bei guai fiscali in Italia… Comunque, Maradona accettò, ma pose le sue condizioni: non voleva assolutamente girare le riprese a Napoli (dove effettivamente era ambientato il suo episodio), non voleva toccare un pallone e, soprattutto, poteva andarsene e tornare sul set quando voleva. Accadde più volte che noi stavamo girando e lui molto cortesemente salutava tutti e se ne andava lasciando in sospeso la scena per poi tornare sei ore dopo. Fortunatamente avevamo deciso di girare la sua parte tutta in interno e così abbiamo potuto dividere la troupe in due, una che girava la mattina e una che girava la notte, tutti pronti a partire appena Maradona fosse tornato. Fu un’impresa molto ardua. Una specie di lockdown generalizzato dove solo Diego aveva l’autocertificazione per fare avanti e indietro. 

Un capitolo del libro si intitola Produttori. Mario e Vittorio Cecchi Gori e De Laurentis sono stati praticamente i suoi unici produttori. Com’è stato lavorare con loro? 

Ma sai, erano due produttori molto diversi tra loro, a prescindere dalle scelte artistiche e dai gusti. Una cosa però l’avevano in comune, quella che erano riusciti nel tempo, grazie alla loro potenza economica, ad assicurarsi in esclusiva una forte scuderia d’attori, come Verdone, Pieraccioni e dall’altra Boldi, De Sica ecc. Avevano quindi una sorta d’egemonia sul mercato. A un certo punto avevano anche provato a mettersi insieme evitando di farsi concorrenza calmierando i prezzi dei contratti degli artisti. Per festeggiare questo storico accordo fu organizzata una grande festa alla Casina Valadier a Roma alla quale partecipai anch’io. Ma proprio durante la serata uno dei due produttori sfilò all’altro la coppia Bud Spencer e Terence Hill – coppia che all’epoca sbancava i botteghini anche all’estero – e quindi la mattina dopo ricominciò la guerra. Comunque per me sono stati due straordinari produttori coi quali mi sono sempre trovato benissimo. E i nostri rapporti sono terminati solo per motivi contrattuali, nient’altro. 

E poi c’è una parte molto divertente sulle raccomandate… 

Per un po’ è stata una cosa con la quale bisognava fare costantemente i conti. Una bella rottura. C’è stato un boom con la nascita delle televisioni private e soprattutto quando queste compagnie compravano prima i film e i loro finanziamenti erano fondamentali per la riuscita del prodotto. Avendo quindi loro il coltello dalla parte del manico, avevano una gran forza per spingere a piazzare attori e attrici nei film. Tutti volevano piazzare i loro pupilli o le loro pupille, anche perché il palcoscenico del cinema era all’epoca molto ampio. Mi ricordo per esempio che Mario Checchi Gori, uomo straordinario al quale ero molto legato, aveva una valanga di raccomandate, nomi segnalati da uomini potenti a cui non si poteva dire di no. Arrivavo nel suo ufficio, tirava fuori una foto e sentenziava: «Ti dico solo un nome…». 

Tra le rotture di Natale anche le tante domande che si sarà sentito fare mille volte. Io ne ho scelta una lo stesso: non vorrebbe sperimentare altro? Cambiare genere?

Ormai è un po’ tardino per cambiare genere o pentirsi di quello che si è fatto. Negli anni ho effettivamente cercato di fare altro, sempre rimanendo nella commedia, ma il leitmotiv era più o meno sempre lo stesso: «Neri, ma questa è un’idea meravigliosa! La faremo sicuro. Però, per il momento, facciamo un altro film di Natale». E così siamo andati avanti vent’anni. In questi casi o si ha una determinazione tale – che non mi appartiene – da accettare anche la possibilità di rimanere anni senza lavorare in attesa che qualcuno condivida il tuo progetto, o si va avanti in altro modo. Beninteso, a me piace tantissimo fare questi film. La regia è la mia vita e quando mi capita di rimanere fermo per un po’ soffro, divento moscio. Mi piace tutto del processo di creazione di un film, anche gli imprevisti, i problemi, le litigate. Io poi sono un solitario nella vita e per questo quando mi ritrovo insieme a tante persone a lavorare sto bene, mi diverto e mi appassiono. Anche perché poi so che tornerò ad essere quello che è la mia natura, un solitario in attesa di tornare in mezzo al caos. 

 

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