Oliver Stone: «Un film su Trump? Merita una commedia»

Oliver Stone: «Un film su Trump? Merita una commedia»
di Titta Fiore
Martedì 2 Luglio 2019, 09:31 - Ultimo agg. 12:26
4 Minuti di Lettura
Inviata a Taormina

Oliver Stone guarda al mondo, Nicole Kidman guarda dentro di sé. La nuova sfida del regista più controverso e controcorrente del cinema americano si chiama Trump. L'obiettivo della diva australiana, dopo quattro mesi sul set con la regista danese Susanne Bier, è una bella vacanza in famiglia: «Voglio leggere tanto, fare i bagni nell'oceano e sentirmi amata da mio marito e dalle mie figlie». Al Taormina Film Fest, con le due superstar, si fronteggiano anche due modi di intendere il cinema: militante e adrenalinico quello di Stone, riflessivo e di prospettiva quello di Kidman.

 

Dopo aver riletto la storia recente degli Stati Uniti con la trilogia sui presidenti Nixon, Kennedy e Bush, ora il regista di «JFK» e «Wall Street» si prepara ad affrontare l'era di «The Donald». «Credo proprio che lo farò, me lo chiedono a furor di popolo e i tempi sono maturi. Forse affronterò il tema con ironia sulla falsariga di W, il docufilm dedicato agli anni di George W. Bush, forse ne farò una commedia, vedremo». Presidente di giuria del festival diretto da Silvia Bizio e Gianvito Casadonte, celebrerà nel Teatro Antico, giovedì, i trent'anni di «Nato il 4 luglio», il suo capolavoro sui reduci dal Vietnam con Tom Cruise protagonista. La storia di uomini spezzati nel corpo e nell'anima. Dai tempi della «dirty war», spiega, la politica estera della Casa Bianca non è cambiata granché e lo dimostrano i tanti fronti aperti in giro per il mondo. «La gente non sa davvero che cos'è la guerra, non sa cosa significhi essere feriti in battaglia e passare il resto della propria vita immobilizzati su una sedia a rotelle come da cinquant'anni fa Ron Kovic, il veterano che perse l'uso delle gambe nell'inferno di Saigon e ha ispirato il mio film. Da persone come lui c'è solo da imparare, l'invalidità è peggio che morire giovani. Invece gli Stati Uniti non imparano dai propri errori e continuano ad andare in guerra, penso alle campagne in Iraq e ora allo scontro con l'Iran. Una situazione disastrosa».
Nicole ha appena finito di girare con la Bier la serie Hbo «The Undoing», tratta dal romanzo «Una famiglia felice», ritrovando sul set David E. Kelley, il creatore della serie di culto «Big Little Lies». Di entrambe è anche coproduttrice. «Ho cominciato questo nuovo lavoro perché volevo prendere in mano il mio destino di attrice. Quando fai un film sono il regista e il produttore a decidere per te, io volevo recitare in ruoli femminili complessi: in giro non ce ne sono molti, dovevo trovare il modo di procurarmeli. Big Little Lies è nato così». Nella seconda stagione in onda su Sky Atlantic deve affrontare temi forti come la violenza domestica, il dolore per la morte del marito e il rapporto complicato con la suocera interpretata da Meryl Streep: «La resilienza è l'aspetto più interessante del mio personaggio, sono una donna capace di fare tesoro anche dei momenti di debolezza». A diciassette anni è arrivata in Italia e se n'è innamorata: «Giravo per le strade di Roma e sognavo di sposare un italiano, ci sono anche andata vicino». Il cinema? «Fellini e Kubrick mi hanno aperto un mondo, sono affascinata dai registi ossessivi e ossessionati dalla ricerca della perfezione formale. Le riprese di Eyes Wide Shut durarono due anni, vivevamo come in un universo parallelo, il tempo è stato il nostro alleato più prezioso. Ora sono impegnata a valorizzare il ruolo delle donne nel cinema, la percentuale di autrici è ancora troppo bassa e dobbiamo darci da fare per far sentire la nostra voce, solo così potremo cambiare le cose. Io mi sono data una regola: cerco di lavorare ogni sei mesi con una donna regista e sono felice della mia scelta».
Ex marine decorato al valore, irregolare nella vita e nel lavoro, Stone non ha mai avuto paura di prendere posizione. Dice: «Girai Platoon per ricordare agli americani che c'era stato il Vietnam, una tragedia archiviata troppo in fretta». E prima di tanti altri ha capito la potenza eversiva dell'uso spregiudicato dei mass media. «Venticinque anni fa lo raccontai in Natural Born Killers - Assassini nati e la polemica fu feroce. Ma ero stato facile profeta, basti pensare al caso O.J. Simpson e alla morbosità mediatica che si scatenò intorno a quella vicenda. Oggi i social sono fomentatori di odio, la violenza dei film è ridicola rispetto a quella dei media». Autore di un docufilm su Putin, a Taormina Stone presenterà il documentario «Revealing Ukraine» di Igor Lopatonok, di cui è produttore esecutivo. Racconta di seguire con attenzione, alle tv francese e russa, le crisi migratorie che attraversano il pianeta, Italia compresa: «È un fenomeno epocale, un argomento complesso. Io credo nella migrazione perché rende qualunque paese più vario, ma se è troppo veloce l'effetto è traumatico». A fine luglio uscirà rimontato e restaurato «The Doors», il film del 91 sulla band di Jim Morrison. «Per lo spettatore sarà una nuova esperienza audio e video». Ha visto «Bohemian Rhapsody»? «L'ho visto e mi è piaciuto».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA