Sorrentino compie 50 anni, Servillo: «L'amicizia tra noi è una grande bellezza»

Sorrentino compie 50 anni, Servillo: «L'amicizia tra noi è una grande bellezza»
di Titta Fiore
Domenica 31 Maggio 2020, 13:52
4 Minuti di Lettura
Tra Paolo Sorrentino e Toni Servillo c'è un legame speciale. E non solo perché insieme hanno girato cinque film, cui si aggiungono le regie televisive di due memorabili spettacoli eduardiani di Servillo, «Sabato, domenica e lunedì» e «Le voci di dentro». Capita che un regista riconosca in un attore il suo interprete ideale, ma il loro sodalizio artistico va oltre, si completa con un'amicizia profonda e un'intesa fatta anche di radici culturali comuni, capaci di farli ritrovare sulla stessa lunghezza d'onda senza troppe parole. E così, oggi che Paolo compie cinquant'anni, gli auguri Toni preferisce farglieli «alla napoletana»: «Gli auguro tanta salute e di stare bene con la sua bella famiglia, con sua moglie Daniela che è una carissima amica, e con i figli Anna e Carlo, e di andare incontro a quello che desidera nella vita». Da «L'uomo in più», il primo film di un percorso straordinario che li avrebbe portati sul palco dell'Oscar con «La grande bellezza», sono passati quasi vent'anni.

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Tutto cominciò a Napoli, Servillo, proprio con «L'uomo in più».
«Sì, avevo fatto i primi film di Mario Martone, ma ritenevo che la mia attività di attore si sarebbe esaurita nel teatro. Morte di un matematico napoletano e Teatro di guerra erano bellissimi, ma così contigui all'esperienza teatrale che pensavo non avrebbero avuto un seguito. Devo a Paolo di avermi portato sulle strade del cinema e di aver immaginato per me un personaggio a tutto tondo come Tony Pisapia. Il monologo finale, quando Pisapia si abbandona al flusso dei ricordi credendo di essere solo nello studio televisivo, è una delle cose più belle che ha scritto. E, per me, una delle più belle da recitare. Un vero e proprio regalo».

Il successo di quel film pose le basi di una collaborazione sempre più intensa.
«La capacità di dialogare intorno a personaggi totem si faceva via via più stretta. Poi accadde qualcosa che ci ha portato a Le conseguenze dell'amore. Capitò che trascorremmo un Capodanno insieme a casa di amici e, al momento di andarcene, sulla porta Paolo mi allungò una busta con una sceneggiatura. L'ho scritta in pochi giorni, disse. L'impegno doveva essere stato talmente forte che l'indomani si mise a letto con la febbre. Lessi la storia di Titta Di Girolamo in una notte».

E con «Le conseguenze dell'amore» foste invitati in concorso al Festival di Cannes.
«La prima volta a Cannes per noi resta mitica. Ci divertimmo a guardare le stranezze di quel grande circo mediatico. Il presidente di giuria era Quentin Tarantino: scelse di vedere il film alla proiezione ufficiale, era seduto dietro di noi e sentivamo la sua voce, le sue risate. Cannes rivelò agli occhi del mondo il talento di Paolo. Dopo ci invitarono al Tribeca Festival, a New York, e De Niro volle conoscerci. In sala, tra i giurati c'erano Kevin Spacey e Frances McDormand, che poi avrebbe fatto con Paolo This Must be The Place».

Da lì la strada percorsa è stata lunga. Qual è il segreto del vostro sodalizio?
«La caratteristica che ammiro di più in Paolo è che, anche nelle situazioni conviviali, non parla mai di sé. Mai. Lo vedo silenzioso, incuriosito, divertito dagli altri. Ho sempre pensato che questa fosse l'arma vincente del grande regista. Paolo si mette in una posizione laterale, si sottrae allo sport nazionale di chi esalta il proprio io. È una cosa che ci lega. E questa nota del suo carattere ci ha fatto arrivare assieme a Jep Gambardella, il personaggio della Grande bellezza. Un protagonista laterale che sta al centro della mondanità chiamandosene malinconicamente fuori».

Con «La grande bellezza» avete trionfato all'Oscar. Cosa ricorda di quella sera?
«Lo sguardo incredulo che ci siamo scambiati dietro le quinte del Kodak Theatre, la felicità, cose così... Per me l'amicizia con Paolo è stata condita da alcune delle sorprese più belle della vita. E di questo, in occasione dei suoi cinquant'anni, gli sono profondamente grato. Tra me e lui c'è una corrente di affetto che va al di là della professione. Come in tutte le grandi amicizie, abbiamo moltiplicato le gioie e diviso per due le angosce».

Con «Il Divo» e «Loro» avete affrontato gli scenari della politica, tra Andreotti e Berlusconi.
«Quei due film raccontano un pezzo di storia italiana. Non credo ci sia un film che in maniera più evidente di Loro mostri come il nostro Paese, con spirito totalmente mercantile, abbia instaurato un clima di competizione elettorale quotidiana».

Essere in sintonia facilita il lavoro?
«Sui suoi set mi sento molto a casa, avverto una sorta di familiare comodità che rende un po' più facili le cose difficili, com'è stato, per esempio, nella sequenza della telefonata notturna in Loro, un monologo lungo dieci, dodici pagine... Ecco, io con Paolo mi sento sicuro».

Sorrentino ha detto di voler girare un nuovo film a Napoli e ieri sera lo ha ribadito in uno speciale di SkyTg24. Ne è al corrente?
«Non ne so niente, ma sarebbe bellissimo».

E quando non siete sul set?
«Ci vediamo, ma non con la frequenza che si potrebbe immaginare. Siamo due che, non vedendosi troppo, sono molto felici di incontrarsi, quando accade».
 
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