Sono gli anni Ottanta a Napoli, Fabietto Schisa, un ragazzino dai capelli ricci e bruni, trascorre il suo tempo con un walkman nelle orecchie, non ha amici e ha un’unica speranza: Maradona al Napoli. Ha un fratello che va all’università di rado, una sorella che trascorre molto tempo chiusa in bagno e dei genitori che, nella propria unione, sono, allo stesso tempo, vicini e distanti.
«È stata la mano di Dio» è l’ultimo film di Paolo Sorrentino, il primo autobiografico del premio Oscar, con Filippo Scotti nel ruolo di Fabietto, Toni Servillo in quello del padre Saverio, Teresa Saponangelo (Maria, la madre), Marlon Joubert (fratello), nelle sale dal 24 novembre, su Netflix dal 15 dicembre.
La famiglia Schisa è contornata da parenti bizzarri: c’è zia Patrizia (Luisa Ranieri), a cui, vittima di un crollo psicologico o semplicemente ninfomane, piace essere guardata e non soltanto, nuda o vestita; suo marito Franco (Massimiliano Gallo), che cerca di mantenere la calma, ma finisce spesso per menarla; c’è Alfredo (Renato Carpentieri), che confessa, con un certo rigore, che: «Se Maradona non viene al Napoli, io mi uccido»; poi ci sono la sorella di Saverio e il suo compagno costretto a parlare con un convertitore di voce degno di Darth Vader e tanti altri.
«All’estero, alle conferenze stampa», spiega il regista. «Mi chiedono sempre come mi siano venuti in mente i parenti di Schisa.
Il film racconta il dolore tragico di Fiabietto che, appena diciasettenne, perde i genitori per colpa di una fuga di gas nella loro casa di Roccaraso. Doveva esserci anche lui con i suoi quella sera, ma la partita Napoli – Empoli con Maradona in squadra l’aveva spinto a rimanere in città.
«Il film contiene un’idea di futuro», continua Sorrentino. «Non abdicare mai a un’idea di futuro, perché è sempre possibile, anche quando non si vede. È anche un film sui padri, Fabietto ne ha diversi: il calcio, lo spettacolo e, poi, Antonio Capuano».
“È stata la mano di Dio” è il racconto di un adolescente che sogna di diventare un regista a Napoli, una città che gli offre spunti sotto ogni punto di vista: le persone, i paesaggi, gli accadimenti. È anche il racconto della fatalità della vita, di come cogliere le occasioni, di come non avere paura, anzi sempre coraggio. È il racconto di un adolescente che a 50 anni dirige film da Oscar.