Paolo Sorrentino candidato all'Oscar bis, Saponangelo: «Il suo linguaggio pop è già diventato di tutti»

Paolo Sorrentino candidato all'Oscar bis, Saponangelo: «Il suo linguaggio pop è già diventato di tutti»
di Titta Fiore
Mercoledì 9 Febbraio 2022, 08:04 - Ultimo agg. 10 Febbraio, 11:41
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Teresa Saponangelo, che Sorrentino chiama affettuosamente «Teresina, o Teresinella», gli ha telefonato subito. «Gli ho detto: Che felicità, ma ora mi ci devi portare, a Los Angeles, all'Oscar voglio esserci anch'io!». Nei panni di Maria, la madre di Fabietto Schisa, l'alter ego dell'autore in «È stata la mano di Dio», ha lasciato il segno. E ora è entusiasta di condividere con il regista napoletano e con tutto il meraviglioso cast del film una soddisfazione tanto grande. Dice: «Paolo ha ricordato sua madre e anch'io voglio dedicare alla mia questa gioia. Ho la fortuna di averla ancora accanto a me e la ringrazio per avermi fatto da padre e da madre e avermi sostenuto in tutte le scelte della mia vita».

Che cosa le ha lasciato il personaggio di Maria?
«Mi colpiscono la sua forza e la sua delicatezza, due doti che fanno di lei una donna vincente.

Mi piace il suo modo di giocare e di tenere la famiglia unita. Credo che Paolo abbia creato con lei il suo personaggio femminile più ricco e sfaccettato, capace di toccare tutte le corde del sentimento. È bello che abbia ricordato sua madre così».

Come gliel'ha descritta, quali indicazioni le ha dato sul set?
«Quando ho fatto la prima prova costume ero molto preoccupata, pensavo che quei modelli di abiti con le spalline tipici degli anni Ottanta, quei capelli cotonati mi irrigidissero, temevo di apparire troppo segaligna. Dicevo: Sembro una zia.... Se non ridi sei una zia, se sorridi sei mia madre mi ha detto. Dovevo sorridere, dare gioia, portare solarità, perché lui la ricordava allegra, a volte con una vena di malinconia, però sempre positiva».

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Anche lei era brava a far roteare le arance?
«Sì, era il suo gioco e Paolo era preoccupato che lo imparassi bene. Abbiamo cominciato a girare a settembre e per tutta l'estate ho preso lezioni da un clown. Ogni tanto mi chiamava il suo assistente alla regia per verificare che mi stessi allenando. Provavo anche tra una ripresa e l'altra, sempre. Paolo mi sfidava, diceva che per The Young Pope Jude Law era stato bravissimo e io mi sentivo in competizione. Pensavo: mica solo loro sono capaci di fare cose difficili...».

E ora eccovi in cinquina con il meglio del cinema mondiale.
«Sì, pensare che i tuoi idoli, i tuoi riferimenti artistici, possano vederti al lavoro è un'emozione enorme».

Chi sono i suoi punti di riferimento?
«L'idea che Robert De Niro e Meryl Streep vedano il film mi tocca profondamente. E poi Francis Ford Coppola, un maestro con cui ho avuto anche l'occasione di fare un provino, quando girò in Italia uno spot per una marca di caffè, e ricordo quel maestro per la sua grande umanità e professionalità».

Su «È stata la mano di Dio» De Niro ha scritto un articolo entusiasmante.
«Beh, lì ci siamo esaltati».

La cosa più sorprendente del film?
«Il linguaggio. Vedere che il linguaggio di Paolo è entrato nell'uso comune. Ora tutti dicono non ti disunire e ripetono anche le parolacce della signora Gentile. Gliel'ho scritto: Sei proprio pop».

E per la sua carriera, che cosa è cambiato dopo «È stata la mano di Dio»?
«Il mio atteggiamento. Perché non è vero che fare un film con un ruolo così bello porta in automatico a ruoli altrettanto belli, mentre io ora pretendo molto di più. Senza presunzione, pretendo un'attenzione diversa da parte di un autore. Sono diventata più selettiva. La mia responsabilità è quella di mantenere alto il livello. Poi è chiaro che bisogna continuare a lavorare e a tenersi in allenamento, facendo cose nascono le idee migliori. Però se non mi arrivano proposte belle, un po' mi incavolo, ecco».

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