Peppe Lanzetta: «Per ritrovare il gusto sono diventato regista»

Peppe Lanzetta: «Per ritrovare il gusto sono diventato regista»
di Ugo Cundari
Domenica 9 Maggio 2021, 10:15
4 Minuti di Lettura

Dopo la doppia immersione nella fiction degiovanniana con i ruoli in «Mina Settembre» e «Il commissario Ricciardi», Peppe Lanzetta è entrato in crisi. «Non mi piaceva più recitare» confessa, e allora ha deciso di fare un film tutto suo. Idee molte, soldi pochi. «Ho bussato alle porte delle istituzioni, ho saputo che prima di me nei palazzi della politica erano stati ricevuti alcuni personaggi che dicevano di parlare a nome mio. Io non sapevo niente. Mistero. Comunque quando ho capito che per le mie proposte c'erano tempi lunghi, mi sono messo in proprio» dice Lanzetta, 65 anni, che di recente ha pubblicato un elogio di Maradona e un libricino di memorie sul suo amico Pino Daniele per Colonnese, e Svegliarsi una mattina con Trump, una nuova avventura del commissario Peppenella, per Centoautori.


Che cosa significa che si è messo in proprio, Lanzetta?
«Ho costituito una società, la Surraund, insieme a Gianluca Di Maro ed Enzo Napolitano, e così ho firmato il mio primo film da autore, Oltre il vuoto. Ho fatto anche da coregista con il napoletano trapiantato a New York Riccardo Marchese. Tra marzo e aprile abbiamo girato otto ore di quello che doveva essere un docufilm e adesso è un film a tutti gli effetti. Siamo in fase di montaggio, uscirà un girato di una novantina di minuti. Stiamo trattando con un paio di piattaforme digitali per metterlo on line prima dell'estate».


Chi sono gli attori?
«Tutti personaggi presi dalla strada tranne due guest star. Lo street artist Jorit davanti al suo murale di Maradona parla della sua esperienza di uomo in perenne conflitto con il potere e della voglia di rivoluzionare i canoni artistici. Alessandro Bergonzoni recita un monologo sul vuoto cosmico dei luoghi comuni, luoghi intesi come arredi e oggetti di tutti i giorni presenti nelle nostre case che hanno assunto un fascino sinistro in epoca di lockdown. Il suo tormentone è nel divan non v'è certezza».


Dove è girato?
«Tra Bari a Maddaloni, Salerno e Sessa Aurunca, ma il grosso è tutto a Napoli Nord, tra boschi, masserie abbandonate, interni kitsch.

Ho voluto raccontare sogni, depressioni, repressioni, mazzate ricevute nella vita da gente qualunque abituata a colmare il vuoto esistenziale con la droga, il gioco, il sesso, la violenza. Ho scritto i testi che questi miei compagni di viaggio hanno interpretato. Ho cercato di far parlare chi non ha voce, ho inseguito scene surreali. Mi sono ispirato a Paolini e Kafka con sfumature alla Tarantino e alla Almodovar. Si ride e si piange».


Ci anticipa qualche scena, qualche personaggio?
«C'è il pittore con la sindrome di Tourette che spiega come dipingere senza farsi condizionare dalla malattia. Un carrozziere di Arzano brutto come la peste recita un monologo sul sentirsi Marlon Brando. Ho preso un femminello di Piscinola con la barba, gli ho messo una parrucca alla Uma Thurman e gli ho fatto interpretare una scena di Pulp fiction. Sono salito sul Vesuvio con un ragazzo tetraplegico che ha chiarito a noi pseudo-normali cosa sia la vita. Un pensionato di Mugnano vestito da Gesù con la corona dei figli dei fiori recita in un bosco un'omelia sul mondo devastato dal coronavirus, poi a un certo punto, come per magia, cade per terra e intona Maledetta primavera della Goggi. Un ragazzo down canta Meraviglioso e mette i brividi. Ci sono anche testimonianze impegnate».


Per esempio?
«Quella di una mamma coraggio che ha fatto arrestare il figlio latitante per proteggerlo dai sicari del clan nemico. E poi molti attori, giovanissimi, vengono da comunità di recupero per ragazzi che hanno avuto problemi, come il mio socio Di Maro, come un ragazzo che a scuola ha sfregiato la sua insegnante e adesso, dopo il film, ha trovato la salvezza nella recitazione. Insomma, ho scovato la mia vera vocazione».


Cioè?
«Condividere le emozioni con gli altri, colmare il vuoto di chi si sente perso e cercare di salvare, nel mio piccolo, chi ha avuto più sfortuna e meno opportunità di me. Il mio mood è frequentare l'inferno, attraversarlo a testa alta e uscirne portandomi dietro quante più persone possibile. Adesso siamo una gang di una quarantina di ragazzi che si danno appuntamento a Lago Patria per nuovi progetti folli. Io sono il capobanda, il più folle di tutti».

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