Addio a Luigi Magni, 85 anni, regista che ha firmato film amatissimi Video

Addio a Luigi Magni, 85 anni, regista che ha firmato film amatissimi Video
Domenica 27 Ottobre 2013, 18:48 - Ultimo agg. 19:50
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Se n' andato zitto zitto, quasi in punta di piedi, stamane nella sua casa romana Magni Luigi, in arte Gigi, cantore triste, romantico e fintamente distaccato di una romanit che assurge a paradigma del genere umano.



Si è detto che Magni stava al Campidoglio come i fratellini della Lupa, come Anna Magnani e Alberto Sordi. Ma più di loro «Gigi» aveva ben chiaro il senso di coltivare la memoria della sua Roma in chiave di sguardo sull'oggi. E a questo schema di pensiero, tanto lieve e poetico sullo schermo quanto tenace e combattivo nella militanza professionale e politica, è restato fedele.



Romano di Roma (era nato il 21 marzo del 1928), aveva festeggiato nel 2008 con un David di Donatello alla carriera i suoi primi 40 anni da regista, ma con le grandi famiglie della commedia italiana trafficava da ben prima. Dei suoi grandi compagni d'avventura, due coppie che hanno fatto la storia come Garinei&Giovannini e Age&Scarpelli, era più giovane, quella decina d'anni che lo fece arruolare da battutista e poi da collaboratore ai copioni per rivista e commedie musicali con cui l'Italia voleva sorridere ad ogni costo dopo la tragedia della guerra e le fatiche della ricostruzione.



Al cinema si era affacciato invece da sceneggiatore nel 1956 affiancando Age& Scarpelli per Tempo di villeggiatura di Antonio Racioppi con Vittorio de Sica mattatore. Per lui, che aveva visto all'opera la "Wandissima" Osiris, il giovane Alberto Sordi, Macario, Dapporto e Rascel, non fu difficile adattarsi ai tempi cinematografici e ad uno stile che stava diventando "canone" come quello della commedia all'italiana. In rapida sequenza è coinvolto in successi di cassetta (Il corazziere, La mandragola) e nei primi tentativi di una nuova generazione di autori, da Festa Campanile a Mauro Bolognini. Nel '68 collabora con Mario Monicelli ad un vero evento del nostro cinema come la trasformazione di Monica Vitti in attrice comica (La ragazza con la pistola) e si merita i galloni per debuttare in proprio da regista con Faustina da una sua storia originale.



La pellicola ha inatteso successo e permetterà a Magni di conquistare la fiducia di un produttore sofisticato come Bino Cicogna che, in pieno tempo di contestazione generale (il '69), gli affida un budget importante e grandi attori come Sordi, Manfredi, Tognazzi, Cardinale, Salerno per un'opera corale e in costume intitolata Nell'anno del Signore. Il film ha un successo travolgente e per Magni (che è autore di soggetto e sceneggiatura) è una vera dichiarazione di poetica. Quella storia di carbonari e utopisti della rivoluzione nel cuore della disincantata Roma papalina di Leone XII è la risposta agli eroici furori del Maggio '68.



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Tanti anni dopo, sul versante del dramma anzichè su quello della commedia, Mario Martone seguirà la stessa strada con Noi credevamo. Ma Gigi Magni va anche oltre: riprendendo la vera storia dell'arresto e dell'esecuzione dei patrioti Targhini e Montanari ghigliottinati a Piazza del Popolo nel 1825 e cantati da Pasquino in aperto scontro con il Papa Re, il regista propone una contro-storia dell'Italia risorgimentale, apre un libro di storia che fa ballata popolare perchè gli italiani di oggi si riapproprino della propria memoria tenendo distante la retorica savoiarda e poi mussoliniana. A quest'idea rimarrà sempre fedele con un cinema troppo a lungo sottovalutato dai critici e quasi sempre invece premiato da un pubblico che si dimostrava più maturo degli intellettuali. Vennero così gli incantevoli bozzetti, degni delle rime di Gioacchino Belli e dei cachinni di Pasquino, che si ricordano come La Tosca (1973) con Monica Vitti e Gigi Proietti, In nome del papa re (1977) con il compagno di sempre Nino Manfredi e un irriconoscibile Ron, Arrivano i bersaglieri (1980) con Ugo Tognazzi e un giovane Vittorio Mezzogiorno.



Sono i quattro film della sua vita, alternati a scorribande originali come La via dei Babbuini (1974), il biografico State buoni se potete (1984) con Johnny Dorelli nei panni di San Filippo Neri, alcune commedie a episodi e un altro dittico sulla storia di Roma, sprofondato però nell'antichità dei sandaloni: l'originale Scipione detto anche l'africano (1971) con l'inedita coppia di Marcello Mastroianni e di suo fratello Ruggero e poi Secondo Ponzio Pilato (1987) con Nino Manfredi governatore della Giudea in odore di Bulgakov (Il maestro e Margherita). Alle storie risorgimentali Magni è tornato anche nell'ultima stagione della sua carriera con opere meno originali per il cinema e la tv, da O re, a In nome del Popolo Sovrano, da La carbonara fino a La notte di Pasquino che nel 2003 segna il contemporaneo saluto al pubblico per lui e per l'amico Nino Manfredi.



In una carriera di straordinario rigore sotto il velo del sorriso e della beffa, Gigi svelò solo due volte l'altra indole del suo carattere, malinconica, utopista, sognatrice: partecipando nel 1984 al documentario a più voci L'addio a Enrico Berlinguer e poi nel 1995 con l'autobiografico Nemici d'infanzia. Schivo, silenzioso, talvolta scontroso come Brontolo e in privato gentile come Mammolo, innamorato da sempre della stessa donna, celava sotto la maschera dell'ironia e dello scetticismo una passione civile degna dell'amico Monicelli.



Fu in prima fila nelle battaglie dell'Anac (l'associazione degli autori italiani) e rifiutò spesso occasioni d'oro come dopo il clamoroso successo di Rugantino che gli garantiva contratti favolosi alla corte di Garinei&Giovannini. Amava il cinema semplice, detestava le mode, coltivava la lingua romanesca come un tesoro, viveva all'ombra di Via Margutta, era adorato dai suoi attori come dalla gente del quartiere e alle cene di Otello a Via della croce era di casa. Sulla sua medaglia di Grand'Ufficiale amava scherzare, ma si vedeva che, nel fondo, la conservava con orgoglio. Con lui si tace una voce sommessa ma potente di un cinema italiano spesso migliore dell'epoca che lo tenne a battesimo. A pochi giorni da Carlo Lizzani (per cui aveva scritto La Celestina p.r.) ci lascia Gigi e forse ci lascia senza eredi.
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