Scandalo Weinstein: il produttore ingaggiò agenti del Mossad, spie e giornalisti per zittire le vittime

Scandalo Weinstein: il produttore ingaggiò agenti del Mossad, spie e giornalisti per zittire le vittime
di Federica Macagnone
Martedì 7 Novembre 2017, 15:00 - Ultimo agg. 20:09
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Un esercito di spie assoldato per mettere a punto la sua strategia del silenzio. Si integra di un nuovo capitolo lo scandalo sessuale che ha travolto Harvey Weinstein, produttore di Hollywood, accusato di aver molestato decine di donne in trent'anni di carriera e che rischia l'arresto per stupro. In un lungo articolo dal titolo «L'esercito di spie di Harvey Weinstein», il New Yorker svela un nuovo retroscena rivelando che l'uomo ingaggiò, nell'autunno dello scorso anno, diversi investigatori privati, tra cui ex agenti del Mossad, per raccogliere informazioni sulle attrici pronte a denunciarlo. 
A firmare l'articolo è Ronan Farrow che ha rivelato di essere in possesso di «dozzine di pagine di documenti» e di avere «testimonianze da sette fonti diverse direttamente coinvolte nel tentativo di raccogliere informazioni». Una rete intricata atta a mettere a tacere chi era pronto a denunciare e a ricattare chiunque si fosse fatto avanti accusando il produttore: Weinstein aveva a libro paga giornalisti, ex spie, agenti del Mossad che adoperavano false identità per mettersi in contatto con le donne che erano pronte a rivelare gli abusi e accusarlo di molestie. 

Il caso McGowan. Secondo Farrow, tutto ebbe inizio nel 2016, quando il produttore ingaggiò due agenzie di investigazione, il colosso Kroll, una delle maggiori compagnie di intelligence, e Black Cube, azienda gestita da ex ufficiali del Mossad e agenti dell'intelligence israeliana. Sotto falsa identità, due investigatori privati della Black Cube incontrano Rose McGowan, la prima accusatrice di Weinstein: uno dei due agenti finse di essere un avvocato dei diritti delle donne e segretamente registrò le conversazioni di almeno quattro incontri. Quando l'attrice parlò del giornalista Ronan Farrow, l'agente si affrettò a contattarlo con la scusa di volerlo coinvolgere in una campagna contro la discriminazione delle donne nei luoghi di lavoro: in realtà, secondo Farrow, gli investigatori stavano rintracciando i giornalisti per «scoprire le loro fonti». 
Nel maggio 2017 un secondo contatto: una donna di nome Diana Filip contattò McGowan, convincendola che stava lanciando un'iniziativa per combattere la discriminazione delle donne sul posto di lavoro. A quella telefonata seguirono diversi incontri in cui si parlò spesso di Weinstein. Diana Filip contattò anche Farrow per sapere quali accuse ci fossero a carico del produttore. Solo dopo si è scoperto che la donna era una dipendente della Black Cube che si faceva identificare con il falso nome di «Diana Filip», usato da un'ex agente delle forze di difesa israeliane. 

La rete. In altri casi c'erano dei reporter, a libro paga del produttore, che intervistavano le vittime per capire quali accuse avrebbero potuto muovere. L'obiettivo era chiaro: il dossier rivela che il contratto firmato da Weinstein, a luglio 2016, prevedeva esplicitamente la condizione di bloccare le indagini su di lui, portate avanti dal New York Times e dal New Yorker, così come la pubblicazione del libro dell'attrice Rose McGowan. A occuparsi delle indagini, in altri casi, erano direttamente i suoi avvocati: tra questi c'erano David Boies, che nel 2000 aveva rappresentato Al Gore nella sua corsa alla presidenza americana. È sua la firma del contratto con la Black Cube. Ma Weinstein, continua il New Yorker, si è avvalso anche dell'assistenza di ex-dipendenti delle sue imprese cinematografiche per raccogliere nomi e informazioni. A tutto ciò si aggiungono telefonate intimidatorie: l'attrice Annabella Sciorra racconta di essere rimasta molto spaventata «perché sapevo che cosa significava essere minacciata da Harvey Weinstein».

I profili delle vittime. Non da ultimo, tra i compiti affidati alle agenzie di intelligence, c'era anche quello di tracciare dei profili psicologici delle vittime, concentrandosi, in particolare, sulle loro storie personali e sui dettagli della vita sessuale. Informazioni fondamentali per la "macchina del silenzio", che avrebbe avuto materiale in mano per screditare e intimidire le vittime di Weinstein, facendo leva anche sulle più piccole contraddizioni. Black Cube, dal canto suo, si è rifiutata di commentare le notizie sul lavoro svolto per il produttore: «È nella politica aziendale rispettare la privacy dei clienti e mai confermare o negare qualsiasi speculazione».
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