Aspettando la quinta e ultima serie di «Gomorra», che si annuncia esplosiva, Marco D'Amore torna al cinema in tutt'altra veste, protagonista del thriller «Security» diretto da Peter Chelsom, il regista di «Serendipity», «Shall We Dance?» e «Hanna Montana», dal 7 giugno in prima assoluta su Sky Cinema e Now. Ispirato all'omonimo romanzo di Stephen Amidon (Mondadori), già autore de «Il capitale umano», il film scava nelle paure e nelle debolezze contemporanee, partendo da un tema universale: quanto della nostra vita siamo disposti a sacrificare in nome della sicurezza? Un interrogativo angoscioso che la pandemia ha reso ancora più pressante, anche se qui il concetto di protezione dei beni e dei dati sensibili s'incrocia con quello della protezione morale. A fare da sfondo Forte dei Marmi, bella e luminosa d'estate, inquietante d'inverno, quando le giornate si accorciano e le ville dei vip diventano piccole fortezze custodite da sofisticati circuiti di telecamere.
Il personaggio di D'Amore, Roberto Santini, marito insoddisfatto di un'ambiziosa candidata a sindaco (Maya Sansa) e padre di un'adolescente ribelle, è il responsabile dei sistemi di videosorveglianza di questa comunità di ricchi e potenti.
Primo thriller di Sky Original, prodotto da Indiana e Vision Distribution, direttore della fotografia il premio Oscar per «Avatar» Mario Fiore, «Security» è cosceneggiato da Silvio Muccino, anche attore nei panni di un docente troppo sensibile agli amori clandestini con le sue studentesse. Dice: «Non è il professore dell'Attimo fuggente, è un narcisista innamorato di se stesso, le sue manie di grandezza sono pari soltanto alle sue debolezze. In un certo senso è complementare al personaggio di Marco D'Amore: crede che la verità si possa plasmare, mentre l'altro la cerca ostinatamente spiando le vite degli altri». Nel cast ricchissimo, Fabrizio Bentivoglio è un potente infido («fare il cattivo per un attore è sempre una pacchia»), Valeria Bilello l'amante del protagonista, Tommaso Ragno il padre alcolizzato della ragazza coinvolta nella violenza (Beatrice Grannò). Come si sceglie un ruolo, D'Amore? «Non m'importa dei personaggi, sono interessato alle storie e mi metto al loro servizio. Mi auguro di essere sempre più indipendente nelle scelte, questo sì». Meglio recitare o dirigere? «Diciamo che mi alleno a praticare diversi sport». Con «L'Immortale» ha vinto un Nastro d'argento per la regia: quanto aiuta il lavoro dietro la macchina da presa nella costruzione di un carattere? «Sul set ognuno porta con sé il carico delle esperienze accumulate. Peter è un grandioso timoniere, un maestro e ho cercato di carpirgli dei piccoli segreti. Mi piace discutere di sceneggiatura e di inquadrature, ma conosco i ruoli e li rispetto».