Toni Servillo: «Più uomo che angelo, l'empatia è la vera forza»

L'attore è il protagonista del nuovo film di Genovese

Toni Servillo: «Più uomo che angelo, l'empatia è la vera forza»
di Titta Fiore
Martedì 24 Gennaio 2023, 07:54 - Ultimo agg. 15:50
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Nella galleria di grandi personaggi affrontati con sapiente maestria da Toni Servillo nella sua carriera ne mancava uno così, un protagonista anonimo capace di una dolcezza sotto traccia, di una partecipazione alle vite degli altri fuori del comune. Struggente, commovente, straordinaria nel senso letterale della parola. Glielo ha dedicato Paolo Genovese nel nuovo film, «Il primo giorno della mia vita», nelle sale dal 26 gennaio prodotto da Lotus e distribuito da Medusa in quattrocento copie. Tratta da un libro dello stesso regista (per Einaudi), qui anche cosceneggiatore, la storia è un apologo sulle seconde possibilità. Un uomo misterioso si presenta a quattro persone che hanno toccato il fondo e vogliono farla finita: nei loro panni Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco e il piccolo Gabriele Cristini. A tutti l'uomo senza nome propone un patto: una settimana di tempo per farli innamorare di nuovo della vita a cui vogliono rinunciare. Quell'Uomo, indicato con la maiuscola, per dire della sua universalità, è appunto Servillo.

Chi è davvero il suo protagonista, questo angelo senza ali che guida l'auto e all'occorrenza si mette anche ai fornelli?
«Difficile non farsi tentare dalla proposta di un personaggio così speciale.

Ma la sua dimensione ultraterrena viene stemperata da una dolcezza tutta umana, ed è questo il bello. La sua sensibilità fa premio sulla drammaticità delle situazioni. Lui partecipa al dolore di chi gli sta accanto, soffre con loro e sa entrare nella vita delle persone con molto pudore, chiedendo il permesso».

Come lo ha affrontato?
«È un ruolo che non ti fa stare troppo a tuo agio, e questo è sempre un bene per un attore. Non mi era mai capitato di interpretare un personaggio che mostrasse tanta dolcezza e sensibilità. Mi piace che offra ai suoi assistiti la possibilità di guardarsi dall'esterno per avere l'occasione di potersi guardare meglio dentro, di fuggire a una solitudine che ci consegna all'ignavia sentimentale».

A questo punto della carriera, dopo essersi calato in ruoli diversissimi, come sceglie i suoi personaggi?
«Mi incuriosisce mettere insieme l'asperità di una cosa mai fatta con la passione di riuscire a farla. Anche per trasformarsi, per non consegnarsi alla routine. È nella natura di noi attori polverizzarci in tanti personaggi diversi e abitare la vita di altre persone senza giudicarle. Il nostro compito è renderle vive per il pubblico».

Il suo Uomo misterioso invita gli improvvisati compagni di viaggio a far coincidere l'ultimo giorno della loro vita con il primo di una nuova esistenza. In altre parole, a credere in una seconda possibilità.
«Suggerisce che bisogna avere il coraggio di ascoltare chi ci sta accanto. E anche quella parte di noi che tacitiamo troppo spesso, per aiutarci a venir fuori da una solitudine che ci condanna».

La solitudine è il male dei nostri tempi?
«Per molti versi sì. Siamo talmente iperconnessi che finiamo per imitare gli altri, magari per invidiarli, in un isolamento fisico ed emotivo innaturale».

Genovese ha definito la storia del suo film «complementare» a quella di Frank Capra nel famosisssimo «La vita è meravigliosa». Che ne dice?
«La vita è meravigliosa è un capolavoro del cinema americano, tra le massime espressioni della commedia e del genere favolistico. Nel nostro film fa premio una dimensione molto più realistica. Tutto è reale nelle vite dei quattro personaggi intenzionati a farla finita. Genovese affronta con grazia argomenti molto seri».

Lì c'era un angelo che mostrava a James Stewart cosa sarebbe successo se non fosse mai nato, qui c'è un Uomo misterioso che ti fa guardare alle cose che potrebbero capitare se rinunci a morire.
«Empatia è la parola chiave per definire il suo comportamento, ed è anche la lettura che ho cercato di dare al personaggio. Lui soffre con gli altri ed entra in relazione con i loro drammi offrendo la possibilità di farli propri».

La storia è anche un omaggio al potere persuasivo della parola.
«A patto che siano necessarie. Il mio personaggio usa le parole indispensabili in quel momento, non quelle che magari gli altri vorrebbero sentirsi dire. E a volte fa un passo indietro, perché sa perfettamente quanto è importante lasciare agli altri la libertà di prendere le proprie decisioni».

E a proposito del potere della parola, lei stasera debutta a Napoli al Bellini in uno spettacolo molto atteso, «Tre modi per non morire», dopo due settimane di tutto esaurito al Piccolo di Milano.
«Sì, è tratto da un testo che Giuseppe Montesano ha scritto per me, una cavalcata teatrale nella nostra civiltà attraverso le opere di alcuni poeti che sono stati autori della loro vita è ci hanno insegnato a cercarla con la mente aperta. Il viaggio con Baudelaire, Dante e i greci diventa allora un antidoto alla non-vita che tenta di ingoiarci e a cui, per molti versi, ci sentiamo consegnati».
 

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