Silvio Orlando: «Sottrarre i ragazzi al male Il riscatto è ancora possibile»

Silvio Orlando: «Sottrarre i ragazzi al male Il riscatto è ancora possibile»
di Titta Fiore
Sabato 30 Ottobre 2021, 09:37
4 Minuti di Lettura

In una Napoli di silenzi e di ombre, «vista di sbieco», come dice Roberto Andò, l'incontro rocambolesco tra un uomo colto e solitario e un ragazzino condannato dalla camorra per uno sgarro dà la misura del senso profondo della vita e racconta, interiorizzandola fino all'estremo spasimo vitalistico, la storia di una paternità diversa e speciale. Parte da qui «Il bambino nascosto», il film ispirato all'omonimo romanzo del regista che ha chiuso la Mostra di Venezia e ora arriva in sala, dal 3 novembre, prodotto da Bibi Film e Rai Cinema e distribuito da 01. Nei panni del maestro di pianoforte che finirà per riscrivere la grammatica degli affetti del piccolo fuggiasco, Silvio Orlando è un protagonista di straordinaria intensità, capace di cesellare anche i silenzi. Al suo fianco il talentuoso Giuseppe Pirozzi.

«La grandezza di un attore come Silvio è nella capacità di rappresentare una dimensione umana ferita, dismessa, con un'apertura grandiosa e imprevedibile di riscatto», spiega Andò. «Avevamo già lavorato insieme anni fa in teatro nel Dio della carneficina di Yasmina Reza, penso che sia arrivato a una maturità esemplare».

E lei, Orlando, come si è trovato a lavorare con un partner bambino?
«Abbiamo avuto il lusso di girare in sequenza, prendendoci il tempo di irrobustire il nostro approccio al film e di vincere quel po' di diffidenza iniziale. Sul set Giuseppe era molto professionale, non faceva capricci e non si annoiava, anzi era sempre incuriosito dalle cose e ha rappresentato per tutti un antidoto alla prevedibilità. Un po' alla volta è nato tra noi un bel legame di fiducia e di collaborazione. Negli ultimi tempi i rapporti tra adulti e bambini si sono irrigiditi, non sono più naturali come una volta, ed io avevo il timore che la storia di un bambino e di un adulto misterioso chiusi in una casa per giorni potesse apparire ambigua. La preoccupazione principale, quindi, è stata quella di cancellare subito qualsiasi ombra di morbosità. Nel film il mio personaggio, salvando il bambino, salva se stesso».

In «Ariaferma» di Di Costanzo, che pure ha portato con successo a Venezia, interpreta invece un boss dietro le sbarre di un carcere.
«Nei due film c'è lo stesso desiderio di capire come si possa infrangere la catena della violenza.

Il bambino nascosto ha un punto di vista radicale sull'opportunità di sottrarre i ragazzi all'humus criminale in cui si trovano a crescere. È un tema enorme su cui sarebbe importante riflettere e aprire un dibattito».

Anche su «Gomorra» non sono mancati dibattiti e polemiche. Che ne pensa?
«Gomorra è una serie di grandissimo pregio. Però, nello stesso tempo, ha decretato la scomparsa del bene dal prodotto televisivo. Nel nostro film, come anche in Ariaferma, invece, il bene c'è. Sbuca nei posti più impensati, ma una possibilità di riscatto c'è. Pur conservando uno sguardo di grande pietà umana, Andò non sente in alcun modo la seduzione del male e questo mi è piaciuto molto, è un atteggiamento che condivido e che ci ha reso subito complici».

Con «Il bambino nascosto» è tornato a recitare a Napoli, che effetto le ha fatto?
«Curiosamente, non mi era capitato di girare tanti film nella mia città, ad eccezione di Polvere di Napoli di Antonio Capuano, dove peraltro ho pronunciato le prime battute scritte da Paolo Sorrentino, allora giovane sceneggiatore. Con Andò abbiamo avuto l'occasione di descriverla da un punto di vista forte e poco frequentato: non ci sono molti altri luoghi al mondo dove si possa raccontare la storia della presenza nello stesso condominio di un raffinato musicista e di una famiglia camorrista, altrove la situazione sarebbe poco credibile. Ma la sceneggiatura è perfetta e il personaggio magnifico, Andò è il regista ideale per un interprete, ha la capacità di essere accogliente e aperto, in ascolto di quello che dicono gli attori».

Come ha vissuto il lockdown?
«In maniera abbastanza rigida, come tutti. Poi ho messo in scena lo spettacolo teatrale La vita davanti a sé, che porterò anche al Mercadante a dicembre e, per fortuna, ho fatto tanto cinema, l'ultimo film con la regia di Paolo Virzì, Siccità».

Dai successi con Salvatores a quelli con Moretti, dallo strepitoso cardinale Voiello delle serie di Sorrentino a questi ultimi, intensi personaggi, passando per una Coppa Volpi, due David di Donatello, due Nastri d'argento e tanti altri premi: com'è cambiato il suo rapporto con il mestiere dell'attore?
«Diciamo che ho iniziato con la comicità e lentamente ho percorso altre strade. Ora cerco di esprimermi soprattutto con i silenzi, interiorizzando i caratteri e dando voce alla fatica e all'etica del vivere. Ho capito che si può recitare con gli sguardi, la naturalezza e l'umanità».

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