Il ritorno di Stefania Spampinato: «Dopo Grey's Anatomy, scelgo Alessandro Siani»

Il ritorno di Stefania Spampinato: «Dopo Grey's Anatomy, scelgo Alessandro Siani»
di Titta Fiore
Lunedì 17 Giugno 2019, 12:00
4 Minuti di Lettura
CAGLIARI - Le nuove piattaforme dell'audiovisivo stanno cambiando radicalmente il linguaggio del racconto per immagini e modificando il mercato. Il caso di «Roma», il film di Alfonso Cuaròn che ha vinto il Leone d'oro a Venezia e l'Oscar senza essere passato, o quasi, per le sale, ha aperto una strada. E non sarà facile per i sostenitori della distribuzione classica, capeggiati da maestri del calibro di Spielberg e Almodovar, contrarissimi allo streaming, invertire la rotta. Il resto lo fa il successo della lunga serialità, un fenomeno in continua crescita che non conosce confini e crea nuove e più ricche forme di professionalità. Tra cinema e televisione, insomma, non ci sono più barriere e capita sempre più spesso che una bella affermazione in una serie, per un attore o un regista, diventi il lasciapassare per il grande schermo. E viceversa.

È successo, per esempio, a Stefania Spampinato, la dottoressa italiana di «Grey's Anatomy». Nei panni della ginecologa Carina DeLuca, sexy, spiritosa e bisessuale, ha conquistato il cuore dei fan di una delle serie più famose del pianeta (stasera su FoxLife l'attesissimo finale della quindicesima stagione). E dalle riprese del medical drama americano è passata direttamente al set napoletano del nuovo film di Alessandro Siani, «Il giorno più bello del mondo». Una commedia che si annuncia piena di effetti speciali «su un ragazzo - ha anticipato lo stesso Siani - che ama il teatro e per una serie di problemi rischia di perdere il suo sogno. Poi accade l'inverosimile, come in un film di Frank Capra». Anche la storia di Stefania sembra un film tinto di rosa. Ospite a Filming Italy con il collega Jesse Williams, il fascinoso chirurgo plastico Jackson Avery della serie, dice: «Sono cresciuta in uno sperduto paesino siciliano, volevo fare l'avvocato ma a 15 anni un musical in un villaggio turistico mi ha fatto scoprire il mondo dell'arte. Mia madre mi ha aperto le porte allo studio, ho frequentato a Milano l'accademia di danza e recitazione, da lì a Londra, per cinque anni, quindi a Los Angeles. Ancora studio, e per mantenermi facevo la cameriera, come tanti ragazzi di belle speranze a Hollywood. Poi, un giorno, mi hanno presa a Grey's Anatomy che mi ha fatto conoscere anche in Italia».
 
Che cosa succederà nel futuro della serie nessuno degli attori è in grado di dirlo. Stefania: «Scopriamo giorno per giorno l'evoluzione del racconto e dobbiamo metterci qualcosa di nostro, proprio come accade nella vita». La capacità di trattare i grandi temi del presente è uno dei pregi della sceneggiatura: «Parliamo dei diritti delle donne, dei gay, dei migranti, dell'equo compenso e delle cure garantite a tutti. La sanità è un tema che mi tocca da vicino. Ho avuto malattie importanti in famiglia che in Italia sono state curate senza pagare un centesimo. In America ho subito un'operazione da niente costata 80mila dollari. Senza assicurazione non avrei potuto curarmi».

Grazie al personaggio del chirurgo plastico Avery, a Filming Italy, il festival di Forte Village diretto per la seconda edizione da Tiziana Rocca, Jesse Williams è una superstar. Lui minimizza: «La televisione va di moda». Ma gli undici anni a «Grey's Anatomy», di cui è diventato anche regista, non gli hanno fatto trascurare né il teatro off Broadway, che continua ad amare molto, né l'impegno per i diritti civili che lo vede da sempre in prima linea. «Facevo l'insegnante di inglese, per tanto tempo ho studiato la storia e i meccanismi del potere. Ho capito che bisogna avere il coraggio delle proprie idee, farsi avanti e lottare senza paura. Oggi il potere dei social media è enorme e io ho imparato a usarlo per sostenere la cultura e i diritti degli afroamericani. Quanto a Grey's Anatemi, mi piace perché affronta i problemi di petto, come provo a fare io. Sul set parliamo di discriminazione senza nasconderci dietro un dito, ci mettiamo la faccia».

Metterci la faccia. William Baldwin, attore famoso in una famosa famiglia di attori, lavora così: «Cerco di essere il più vero possibile». È stato modello, sex symbol, ha fatto film con Oliver Stone, Mike Figgis e Joel Schumacher, ha recitato nelle serie di culto «Dirty Sexy Money» e «Gossip Girl» e ora in «Too Old to Die Young» di Nicolas Winding Refn, appena vista a Cannes. Un progetto, dice, «molto dark, una miscela di Tarantino e Lynch». A 56 anni produce un family drama per Netflix, «una storia di grande impatto con sesso e droga a volontà». Che cosa pensa della polemica sullo streaming? «La tecnologia cambia tutto. Mia figlia ha 14 anni e vede i film sul cellulare. Andare al cinema? Non ci pensa proprio, e i suoi amici fanno altrettanto. I ragazzi consumano contenuti su telefono e computer, il mercato è il mercato e bisogna adeguarsi. Ma non lamentiamoci: si stanno creando milioni di nuove opportunità». Del cinema italiano ricorda con commozione Zeffirelli. E poi? «Mi piacerebbe lavorare con Valeria Golino. Non la vedo da vent'anni, è una donna meravigliosa, ricordo che aveva un fuoco sacro dentro unito a una speciale vulnerabilità. E splendidi occhi espressivi. So che è diventata anche una brava regista e non mi sorprende».
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