Taormina, Bellocchio superstar nell'anno magico di Marina Confalone

Taormina, Bellocchio superstar nell'anno magico di Marina Confalone
di Titta Fiore
Domenica 30 Giugno 2019, 09:00
3 Minuti di Lettura
TAORMINA - È l'anno de «Il traditore»: dopo il bel successo di Cannes e il primato al botteghino, il film di Marco Bellocchio su Tommaso Buscetta trionfa anche ai Nastri d'argento, aggiudicandosi sette riconoscimenti, i più importanti. Ed è l'anno di Marina Confalone che ieri sera, sul palco del Teatro Greco, ha coronato una stagione felicissima aggiungendo il Nastro come migliore attrice non protagonista per «Il vizio della speranza» ai tanti premi vinti con il film di Edoardo De Angelis.
 
David di Donatello, Ciak d'oro, Bifest e ora il Nastro d'argento. Il personaggio di Zi' Marì, la maitresse eroinomane che traffica in vite umane conservando inaspettate tracce di compassione, ha incantato tutti. È spregevole e tragica nello stesso tempo: una bella sfida, Marina.

«È un ruolo ricco di sfaccettature, come piacciono a me. Zi' Marì è una donna prosciugata dalla solitudine, ha bisogno del conforto dell'eroina per sostenere l'aridità che le mangia l'anima. Una figura simbolica e complessa. La mia amica regista Antonietta De Lillo dice che si potrebbe fare un film solo su di lei. In questo momento mi propongono tutte donne così».

E lei?
«Sto valutando un altro tipo di personaggi, guai a ripetersi».

Per esempio?
«Per esempio, una nonna mafiosa che prepara la parmigiana di melanzane con la pistola in tasca... Vedremo cosa succederà. In ogni caso, non vedo l'ora di scendere dai tacchi e di tornare a lavorare».

Gli esordi nella compagnia di Eduardo, poi Carlo Cecchi, Giuseppe Bertolucci, il cinema con Steno, Monicelli, Nanni Loy e De Crescenzo, la televisione con Citti, gli applausi a Venezia con «Il signor Rotpeter» di De Lillo. E ora?
«Con Il signor Rotpeter ho invertito un ciclo. Ho letto il racconto di Kafka nella mia casa di Stromboli, l'ho studiato, ho contattato l'università Federico II per metterlo in scena nell'antica aula di chimica e con l'aiuto di Carlo Cerciello lo abbiamo realizzato nel 2017. Dieci minuti di applausi. E da quell'unica replica è nato il film. Diciamo che una scimmia mi ha salvata. Perché ero un po' uscita dal giro, mi ero fermata per il mio prepotente istinto di libertà. Protestavo, mi arrabbiavo, non mi adattavo. Poi, due anni fa, ho iniziato la pratica buddista e l'ottica è completamente cambiata. Ho capito che i responsabili di tutto quello che ci capita siamo noi stessi. Non recrimino più, sono aperta alla vita e alle sue sorprese».

«Il vizio della speranza» è stato una sorpresa?
«In un certo senso sì, dopo Il signor Rotpeter mi ha chiamata De Angelis per un provino. Tutto è successo rapidamente. Edoardo è un poeta. Il primo giorno di riprese ha voluto sul set gli zampognari, ci tenevamo per mano. Diceva: Vorrei che tutti fossimo orgogliosi di questo film. E così è stato».

Ai David ha dedicato il premio ai napoletani «di buona volontà».
«Sì, ho molte speranze sul potenziale della città, mi piaceva dare un messaggio di incoraggiamento. Sarà che ora vedo solo cose positive. Prima di incontrare il buddismo mi sembrava che tutto congiurasse contro il talento e l'impegno, oggi non la penso più così e sono piena di progetti».

Cinema o teatro?
«Tutt'e due. Scrivo sceneggiature, testi e ho pronto uno spettacolo in tre atti sul futuro prossimo, sui temi della globalizzazione, dell'ambiente e dell'immortalità. Alla mia maniera, s'intende».

Quando scrive?
«Non ho un metodo, se mi viene un'idea, non smetto più».

Nella sua carriera ha vinto quattro Nastri d'argento. Ricordi particolari?
«Quando vinsi il primo, per Così parlò Bellavista, salii sul palco del Teatro Greco e vidi un muro umano. Ne ebbi quasi paura, tant'è che mi nascosi dietro Pippo Baudo. Un conto è portare in scena un personaggio, un conto è metterti in gioco personalmente: l'emozione lascia il segno».
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