“Teranga – Life In the Waiting Room”, online il docufilm girato a Napoli

“Teranga – Life In the Waiting Room”, online il docufilm girato a Napoli
Mercoledì 19 Febbraio 2020, 20:36
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«Noi balliamo per dimenticare. Noi cantiamo per dimenticare». Queste, le semplici e inequivocabili parole-scudo di Fata e Yankuba, le due speciali persone protagoniste di “Teranga – Life In the Waiting Room”. Un’esistenza tenace in sala d’attesa, pur di veder riconosciuti i propri diritti di cittadini del pianeta. A prescindere dalla genesi, dall’età, dal ceto sociale. 



Concetto africano che vuol dire generosità, ospitalità, rispetto. Dal linguaggio wolof di Senegal e Gambia – via Mediterraneo – direttamente fin dentro ai polmoni del centro antico di Napoli. Perché il coraggioso viaggio vissuto da Fata e Yankuba li ha condotti proprio nello spazio Teranga partenopeo: un club dal nome omonimo attivo in piazza Bellini che rappresenta la casa nuova, la casa napoletana, per tante biografie originarie dell’Africa che scelgono Napoli come meta di resurrezione.

«A casa loro sarà una delle nostre priorità»: così dichiara nel film, in voce off – con tono marziale e spregiativo – l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini. Ebbene Teranga va esattamente nella direzione opposta. Racconta i tormenti, le paure e la gioia di chi può trovare asilo senza esilio. Racconta quanto la musica sia pane quotidiano per resistere/combattere. Racconta come la scienza può diventare una ragione di vita, così granitica da far sopravvivere alla morte della propria madre. Tutto ciò, a Napoli. Terra di emigranti e di immigrati.

“Teranga – Life In the Waiting Room” è il documentario che le registe Sophia Rose Seymour e Daisy Squires (entrambe britanniche) e Lou Marillier (francese) hanno realizzato nel golfo e in Campania muovendosi tra il mare e la neve, la ricerca di documenti e l’alienazione, raccogliendo le storie di due giovani gambiani: Fata e Yankuba. Fata che ha l’ambizione di diventare un dj. Yankuba che ha studiato per diventare un biochimico.

«Sono stata colpita dalla capacità di recupero e intraprendenza della comunità africana e dalla loro gentilezza nei miei confronti - commenta Seymour - così insieme a Daisy e Lou ho sentito il desiderio di raccontare la storia di queste persone dinamiche e stimolanti che sono state così spesso ostacolate dai mass media e dai pregiudizi sociali in generale. Questo ha portato alla necessità di raccontare la storia di una vita invisibile in attesa di documenti indispensabili e di come gli esseri umani sopravvivono nonostante le avversità estreme». «La nostra idea originale – aggiunge Marillier – era di documentare il modo in cui sentivamo che Napoli, per i migranti, era diventata una gigantesca sala d’attesa in cui le persone aspettano anni prima di ricevere i loro documenti. E abbiamo compreso quanto sia violento questo processo. È come una tortura psicologica, soprattutto considerando il trauma che molti hanno sofferto già nel loro viaggio per arrivare fino a qui. Dopo un po’, le persone iniziano a costruirsi una vita in quella sala d’aspetto ed è qui che abbiamo notato che la musica e la danza hanno avuto un ruolo fondamentale». «Volevamo che il nostro film umanizzasse i numeri e le statistiche delle persone che arrivavano dall’Africa occidentale. Qualche politico come Salvini – ribadisce Squires – guadagna popolarità capitalizzando sulla paura e sull’ignoranza del tema e volevamo decostruire tutto ciò, mostrando Fata e Yankuba intimamente, e mostrandoli come giovani ambiziosi, gentili, generosi e di talento. Sono giovani come noi, con speranze e sogni, amici e famiglia, amori e passioni. Yankuba vuole diventare un biochimico e Fata vuole essere un dj. Volevamo che fossero apprezzati da chi vedrà il nostro documentario e speriamo che ciò possa eliminare parte della paura che spesso ispira la politica anti-immigrazione».
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