Tom Cruise: «L'unico cinema possibile è quello che si vede in sala»

Tom Cruise: «L'unico cinema possibile è quello che si vede in sala»
di Titta Fiore
Giovedì 19 Maggio 2022, 07:43 - Ultimo agg. 16:07
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Cannes

L'arrivo spettacolare in elicottero, il bagno di folla, il casco da pilota di «Maverick» riprodotto sulla facciata del più grande albergo della Croisette, l'omaggio della pattuglia acrobatica francese sul Palazzo del cinema e una Palma d'onore ricevuta a sorpresa ieri sera da Frémaux e dal presidente Lescure: Tom Cruise si prende il Festival e Cannes ritrova il glamour che ha reso celebre nel mondo il suo red carpet. La proiezione di «Top Gun: Maverick» è l'evento clou di questa edizione, la foto che resterà dell'anno della ripartenza. Tutti pazzi per il divo che torna sulle «marches» con il seguito di quel film di culto, a trent'anni dal suo unico passaggio al Festival con «Cuori ribelli», e sala gremita da un migliaio di persone per la sua attesissima masterclass.

«Dopo tutto quello che abbiamo passato è un privilegio ritrovarsi faccia a faccia con il pubblico» dice lui, sorriso irresistibile, tonico e perfettamente in forma alla vigilia dei sessant'anni che compirà il 3 luglio.

I dieci minuti di omaggio al suo cinema adrenalico sono una carrellata di successi che hanno segnato generazioni: «Rain man», «Risky Business», «Codice d'onore», «Il colore dei soldi», «A.I.

Intelligenza artificiale», «Collateral», «Magnolia», «Minority Report», «Eyes Wide Shut», «Mission: Impossible» che ormai è un franchise campione d'incasso, tappe di una carriera che non conosce momenti di stanchezza. «Il cinema è la mia passione, non ho mai pensato di fare altro. A quattro anni fantasticavo di essere un pilota, ma erano sogni di bambino, e una volta mi lanciai dal tetto di casa, mia madre voleva uccidermi. Crescendo ho cominciato a fare lavoretti, tagliavo l'erba del prato dei vicini, vendevo i giornali, e con quei soldi andavo al cinema. Ho visto così tanti film che non ho avuto bisogno di frequentare una scuola. Il resto l'ho imparato sui set, osservando i registi, gli attori, e chiacchierando con i tecnici, sempre generosi di consigli. Non avevo paura di chiedere, e loro sono stati i miei maestri».

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Con dedizione assoluta, passione, amore per l'avventura, coraggio, determinazione, è arrivato sul tetto del mondo del cinema. E non ha alcuna intenzione di scendere. «Adoro il mio lavoro e mi impegno duramente per farlo nel modo migliore. Credo nella forza del gruppo, sul set non mi stanco di motivare la troupe. Dico: questo film è nostro, non solo mio. Sono diventato produttore per necessità, per poter fare quello che volevo. È difficile, ma ne vale la pena». L'uscita di «Top Gun: Maverick» è stata rinviata per la pandemia (in Italia si vedrà dal 25 maggio). Mai pensato alle piattaforme, ha avuto pressioni? «Non hanno osato, non succederà mai che i miei film non vadano in sala. La reazione del pubblico è fondamentale. Io vado spesso al cinema, con il berretto e i popcorn, mi piace sentire i commenti della gente, non smetto mai di imparare. E poi, se il film funziona, posso farne subito un altro, è questo il bello».

In «Top Gun: Maverick» è tornato dopo 36 anni a vestire i panni del leggendario pilota di caccia Pete Mitchell, richiamato in servizio per addestrare una squadra in una missione di estrema pericolosità. Come nei tanti «Mission: Impossible», anche qui in molte scene ha fatto a meno degli stunt. Perché rischi tanto, gli chiede il moderatore dell'incontro: «È come chiedere a Gene Kelly: perché balli? È il mio lavoro. Mission: Impossible era in origine una serie televisiva, quando dissi alla Paramount che avrei voluto farne un film, mi risposero che non gli sembrava una grande idea. Allora pensai che se avessi puntato sulla fisicità del personaggio avrei incuriosito il pubblico e non mi sono sbagliato di molto. Del resto volevo fare il pilota, amo la velocità, avrei potuto dare agli spettatori un'esperienza diversa. Da ragazzo correvo e saltavo, da grande sul set ho continuato a farlo. Ho studiato, mi sono preparato, ho corso in auto con Paul Newman, mi sono lanciato dagli aerei, arrampicato sui grattacieli. Nella vecchia Hollywood gli attori si esercitavano in canto e ballo, oggi bisogna saper fare altro».

Da artista totale, gli piace sperimentare: «Viaggio molto, e non come turista. Ho girato film in tutto il mondo, voglio conoscere nuove culture». Dice che alla base di un successo c'è sempre una buona storia: «Sono cresciuto guardando Chaplin e Buster Keaton, commedia, dramma o horror non fa differenza, l'importante è il contenuto». Gli capita mai di avere paura sul set? «Certo, ma provare è sempre meglio che rinunciare. Io al cinema do la mia vita».
 

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