Il coreografo Luca Tommassini: «Io, un romano di First Valley che ha scalato Hollywood»

Il coreografo Luca Tommassini: «Io, un romano di First Valley che ha scalato Hollywood»
di Gloria Satta
Giovedì 7 Settembre 2017, 16:39 - Ultimo agg. 17:27
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VENEZIA - Da Primavalle a Hollywood passando per Napoli. Dai balletti di Madonna ai movimenti dei camorristi, da Michael Jackson alla pupa del boss Claudia Gerini, dall'esperienza con Robin Williams alla sceneggiata napoletana. Se nello spettacolo italiano c'è un nome internazionale, è quello di Luca Tommassini. Coreografo, ballerino, direttore artistico, regista, Luca ha ora realizzato le coreogafie di Ammore e malavita rendendo ancora più vitale, colorato, originale il film dei Manetti Bros. In attesa di tornare a lavorare a X Factor (la decima edizione andrà in onda dal 14 settembre su Sky), e di creare le coreografie di Benedetta follia, il nuovo film di Verdone, e di Made in Italy di Ligabue, Tommassini si gode gli applausi del Lido. E racconta i segreti della sua sorprendente carriera.

Com'è arrivato sul set con i Manetti Bros?
«I due registi mi avevano parlato del loro progetto quando era ancora una fantasia. Io, che vengo da un mondo diverso e ho lavorato a film come Evita, The Tourist, Sister Act, ho accettato perché Napoli è la mia città preferita. Far ballare non solo gli attori ma anche la gente comune è stata una sfida esaltante».

A cosa le è servita l'esperienza hollywodiana?
«A capire che la musica non deve mai prescindere dalla storia. Ha la funzione di fare da traino alle parole».

E da Madonna cosa ha imparato?
«A costruire una storia dal nulla. Madonna è la più grande direttrice artistica vivente. Continua a fare le cose che non sa fare: esibirsi in pubblico non le viene naturale, ma poi eccelle grazie al suo smisurato talento. Ho lavorato benissimo con lei anche se non è mai stata il mio idolo».

Chi era invece il suo idolo?
«Michael Jackson, maestro di teatralità. Per ballare con lui chiesi il permesso proprio a Madonna. Michael ha rinnovato lo stile ed è sempre trendy, anche ora che non c'è più».

Quale altra star l'ha colpita particolarmente?
«Robin Williams. Sul set di Piume di struzzo ho conosciuto la sua umanità: ogni mattina mi portava in camerino il caffé e mi dava la carica parlandomi in italiano».

Com'è finito a Hollywood un ragazzo della periferia romana?
«Ho studiato musica e danza. Sognavo di sfondare, ma il mio quartiere, che ho scherzosamente ribattezzato First Valley, non mi offriva molto così, ancora minorenne, sono sbarcato in America da immigrato illegale. Non avevo un soldo, ho dormito per strada, andavo ai provini scavalcando i muri. Ce l'ho fatta perché ho imitato il coraggio dei grandi».

A chi si sente maggiormente riconoscente?
«Oltre che a Jackson, alla coreografa e cantante Paula Abdul che nel 1989 mi ha offerto il primo vero contratto: ballare nientemeno che agli Oscar! Devo molto anche a Whitney Houston, che mi fece da sponsor per due anni, consentendomi di vivere negli Usa legalmente».

Dove vive attualmente?
«Dopo aver seminato case a Londra, Malibu e Milano, mi sono ristabilito a Roma. Ma sono sempre in viaggio per lavoro».

Ha un sogno da realizzare?
«Vorrei dirigere un film e un'opera lirica. Intanto firmo la direzione artistica del charity di Bocelli Celebrity Fight Night (in questi giorni a Roma, ndr)».

Che consigli dà ai giovani che vogliono sfondare?
«Di prepararsi accuratamente. Andy Warhol sosteneva che chiunque può avere un quarto d'ora di celebrità. Ma per durare nel tempo ed essere imbattibile devi studiare sodo. Io lo faccio ancora».

I talent servono a creare ballerini e cantanti?
«Sì, ma a condizione che l'attenzione resti concentrata sul lavoro. La vita personale non può, non deve oscurare i risultati artistici».
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