La scrittrice Kiran Millwood Hargrave: «Quando nella civile Norvegia si scatenò la caccia alle streghe»

Kiran Millwood Hargrave
Kiran Millwood Hargrave
di Gabriele Santoro
Mercoledì 22 Luglio 2020, 09:45
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L'isola di Vardø è situata all'estrema punta nordorientale della Norvegia, nell'area vasta e selvaggia del Finnmark. Un luogo che custodisce una storia potente, capace di parlare all'oggi. Era il 24 dicembre 1617, quando poco lontano dalla costa di Vardø una tempesta improvvisa fece annegare quaranta pescatori nelle acque del Mare di Barents. E innescò una rivoluzione sociale con le donne in prima linea nella ricostruzione della piccola comunità locale sconvolta.La trentenne poetessa e romanziera britannica Kiran Millwood Hargrave, pluripremiata per la narrativa dedicata all'infanzia, ha colpito nel segno con il romanzo storico d'esordio Vardø. Dopo la tempesta (Neri Pozza, traduzione di Laura Prandino) che ha riscosso ottimi riscontri oltremanica.
La ventenne Maren Magnusdatter, dopo aver perso il padre e il fratello nel naufragio, insieme alle altre donne di Vardø reagisce al trauma con una forma di autogoverno, indipendenza e un coraggio che spaventarono fino a scatenare una violentissima caccia alle streghe.

Hargrave, come è arrivata a Vardø?
«Leggendo, ho scoperto che l'ultima installazione artistica di Louise Bourgeois, che amo molto, era collocata in una remota isola norvegese chiamata Vardø nell'Artico. L'opera era parte del Memoriale Steilneset disegnato da Peter Zumthor ed eretto nel nome di 91 donne e uomini uccisi nella regione, dove si celebrarono i più grandi processi per stregoneria nel Seicento».

Di che cosa si tratta?
«È una sedia di metallo, perennemente in fiamme, circondata da specchi appannati e incassati in una sorta di gabbia di vetro. Dalle finestre oscurate si intravede la neve».

Che cosa ha ripreso da Bourgeois?
«Mi ha colpito la forza e la fragilità femminile. La stessa forma di femminilità che volevo incarnare e soprattutto celebrare con la scrittura. Poi ho incontrato la sua ultima opera: Le dannate, le possedute e le amate».

Qual è stato il passo successivo?
«Non avevo mai sentito parlare di quell'isola, né dei processi. Preferisco avvicinarmi alla storia attraverso i romanzi, ma dalla ricerca risultavano solo saggi, gran parte dei quali scritti dall'accademica Liv Helene Willumsen. Si è accesa una scintilla dentro di me, come se ci fosse un silenzio da colmare».

A quali documenti ha potuto attingere?
«Willumsen dell'Università di Tromsø è stata fondamentale. Mi ha mandato la sua traduzione in inglese delle testimonianze processuali delle donne uccise a Vardø con l'accusa di stregoneria. È un libro impressionante, che descrive i meccanismi di implosione della piccola comunità dopo la tempesta con la caccia al nemico e la messa all'indice delle donne».

A chi si ispira la figura del cacciatore di streghe scozzese Absalom Cornet?
«Il re Cristiano IV, che introdusse la legge sulla stregoneria nel 1618 modellata su quella del re Giacomo di Scozia, aveva fra i suoi amici il nobile scozzese John Cunningham. Quest'ultimo presiedette oltre cinquanta processi per stregoneria. Il primo grande processo avvenne nel 1621. E vide fra gli imputati otto donne accusate di aver evocato la burrasca del 1617».

Quale paura scatenò i processi?
«Il potere di auto organizzazione delle donne, di solito consegnate all'ubbidienza e alla debolezza, evocava qualcosa di magicamente oscuro da debellare. Il fatto che le donne avessero trovato la strada per sopravvivere, vivere e morire secondo le proprie scelte era rivoluzionario. È un'eco di oltre quattro secoli fa, ma tristemente moderno».

In Norvegia è una storia rimossa?
«Non è molto nota né studiata. E c'è un motivo preciso. Si considerano tradizionalmente una società molto tollerante. Il fatto che il Paese abbia vissuto una delle più violente e mortali caccia alle streghe contrasta con la narrazione dominante di apertura e accoglienza».

Che cosa resta della caccia alle streghe?
«Il romanzo mostra la paura patriarcale che permane della forza delle donne».
 

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