Mandy Barker: «Fotografo la plastica per salvare il mondo»

Mandy Barker: «Fotografo la plastica per salvare il mondo»
di Nicolas Lozito
Domenica 14 Aprile 2019, 16:18 - Ultimo agg. 27 Febbraio, 02:19
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«Plastica da buttare, anzi, plastica buttata che diventa un'opera d'arte attraverso la composizione fotografica». In una frase sono riassunte tutte le fotografie della britannica Mandy Barker. Una donna che ha fatto della causa ambientale il filo rosso delle sue creazioni.

A Roma, in occasione del Festival delle Scienze del National Geographic all'Auditorium Parco della Musica, porta in mostra uno dei suoi lavori più celebri: Soup. Un viaggio visionario e innaturale che unisce scienza, denuncia, arte.

Lei realizza immagini sublimi raccontando una terribile verità. Perché rendere esteticamente piacevole una situazione drammatica?
«Da sempre sono colpita dalla presenza di così tanta plastica nel mare. Un tempo provavo a fotografare le spiagge piene di rifiuti, ma non riuscivo a raggiungere il pubblico con quelle semplici immagini. Allora ho cambiato strategia: avrei provato a rendere attraente un tema a cui nessuno sembrava interessato».

Come realizza esattamente le sue opere?
«Raccolgo migliaia di pezzi di plastica e altri rifiuti dalle spiagge di tutto il mondo. I mari ne sono pieni. Poi porto tutto nel mio studio, osservo ogni detrito e lo fotografo, da solo o a gruppetti. Su sfondo nero, così da poterli utilizzare sul computer e ricombinare a piacimento, come fossero tasselli di un grande mosaico. Ne ho creato uno solo con la plastica masticata dai pesci, un altro con solo gli accendini, uno con la plastica trovata nel tratto digerente di un albatro morto».

La plastica di Soup ha un'origine precisa, giusto?
«La plastica della prima serie Soup (che significa zuppa) arriva dal Pacifico, dalla grande chiazza di plastica del Pacific Trash Vortex. Un'altra serie è dedicata solo al lungomare di Hong Kong. Lì c'è uno strato alto più di un metro. È stato uno shock».

Un suo progetto simile, Penalty, è fatto invece con i palloni da calcio.
«L'occasione era la Coppa del Mondo 2014. Il titolo significa rigore, ma anche punizione nel senso di pena. Avevo visto su delle spiagge inglesi dei palloni vecchi e rovinati alla deriva. Così ho chiesto ad amici e su internet di mandarmi tutti i palloni che trovavano».

Quanti ne ha raccolti?
«È stato impressionante: 769 palloni da tutto il mondo. Così ho creato un'opera con i palloni inglesi, una con i palloni europei e una con quelli da tutto il mondo».

Cosa fa con tutti i rifiuti che le rimangono?
«Qualcosa sono riuscita a riciclare. I palloni ancora utilizzabili, li ho mandati ad alcune ong in Africa. Ma tantissima plastica non riciclabile finisce in discarica, perché non si può più fare nulla, o la tengo in magazzino».

Secondo lei una fotografia può cambiare il mondo, e il modo di vedere il problema dell'inquinamento?
«La mia speranza è che le persone vengano attratte dai miei scatti, si fermino a guardarli, poi a leggere le didascalie e capire cosa sta succedendo. Basta una riflessione in più ed è già qualcosa. La fotografia è un immenso comunicatore, ci permette di testimoniare qualcosa che non vediamo e così educare il pubblico. Che sia sulle nostre coste o molto lontano: ora sto per partire per l'isola di Henderson, nel sud del Pacifico, disabitata ma pienissima di plastica. Qualcuno deve mostrare quello scempio».

La situazione sembra peggiorare. È così?
«Rispetto a 10 anni fa c'è più plastica ma anche più consapevolezza. Da una parte molte persone si sentono in colpa, dall'altro tanti giovani stanno prendendo coscienza del problema. Penso a Greta Thunberg e ai movimenti studenteschi. Bisogna agire però, su chi la plastica la produce, comprandone di meno e facendosi sentire: solo così la situazione può davvero cambiare».

Il problema è che mancano delle buone pratiche condivise. Quali consigli dà?
«Iniziate dal piccolo: niente bottiglie di plastica, sacchetti. Evitate di comprarli. Ma soprattutto, evitate che arrivino negli Oceani».

Si può vivere senza plastica?
«Molto difficile. Alcuni lo fanno. Ma ci vuole una città adatta, e in certi Paesi, penso all'Italia sembra impossibile. Ma il messaggio sta arrivando: sono stata a Venezia e ho visto le persone girare con bottiglie di vetro da riempire. Sono ottimista anche per voi».

E ai giovani, cosa può consigliare?
«Di rimanere concentrati: il mare, il mondo, le specie animali saranno sulle vostre spalle: datevi da fare fin da oggi e continuate sempre».
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