La Galleria Borghese di Roma ha “vinto” un Guido Reni. Il museo ha annunciato l'acquisizione del dipinto «Danza campestre» (1601-2) finora attribuita a un ignoto artista: dopo una serie di ricerche la restituzione dell'opera alla mano di Guido Reni (Bologna 1575-1642) costituisce «una delle più importanti e inattese scoperte degli ultimi anni, insieme a quella della sua documentata provenienza dalla collezione del cardinale Scipione Borghese», spiega una nota del museo. La scena raffigura una festa campestre: un ballo, accompagnato dalla musica del liuto e della viola da braccio, organizzato da un gruppo di contadini, al quale assistono alcune dame e signori del luogo in veste di cacciatori. Il dipinto fu presentato nel 2008 in un'asta di Bonham's a Londra come opera di un artista bolognese non meglio specificato. La sua alta qualità ha però dato l'avvio a un'indagine che ha messo in luce come l'opera rappresenti un momento significativo nello sviluppo del genere del paesaggio con figure di soggetto festoso o galante.
Le ipotesi
Dopo le prime ipotesi attributive, ricercate tra i pittori emiliani specialisti del genere - da Viola a Tamburini, Badalocchio, Domenichino, il giovane Guercino o il Mastelletta - il dipinto è stato riferito ad Agostino Carracci, per il confronto con un suo dipinto di analogo soggetto conservato al Musée des Beaux-Arts di Marsiglia. Ipotesi presto scartata per ragioni stilistiche e cronologiche, fino al riconoscimento dell'autografia di Guido Reni da parte di Keith Christiansen per le similitudini con alcune opere del maestro passate nel mercato antiquario. Una conferma decisiva proviene da Weston-Lewis e da E. Fumagalli con l'individuazione del dipinto all'interno degli inventari e delle descrizioni della collezione di Scipione Borghese: per tutto il Seicento è descritto in modo inequivocabile, come dimostra ad esempio la citazione nel dettagliato inventario del Palazzo Borghese redatto nel 1693: «Quadro in tela con un paese con molte figure con un ballo in campagna alto p.mi 3 e mezzo, cornice dorata del N.°(sic) di Guido Reni».
Le fonti
La consuetudine di Reni con il paesaggio era praticamente sconosciuta: non ne fanno menzione le fonti, mentre emergono le sue prove nei generi maggiori, di tono elevato e ideale. Il pittore si dedica a questo genere, presto abbandonato, nei primi anni del suo soggiorno romano. «Questa importante opera di paesaggio contribuisce quindi a integrare il percorso artistico e i diversi ambiti di ricerca sperimentati dall'artista bolognese, nella maniera in cui furono seguiti, nel loro sviluppo e nella loro fortuna, dallo sguardo e dall'interesse collezionistico del committente», spiega la nota della Galleria Borghese. Oltre alla sua valenza storico-artistica, la provenienza del dipinto dalla collezione di Scipione Borghese consente di aggiungere un importante tassello alla vicenda dei rapporti fra i Borghese e Guido Reni. Il cardinale desiderava farne il suo pittore di corte considerandolo, dopo la morte di Annibale Carracci, l'artista più importante presente sulla scena romana. A lui la famiglia Borghese, nella persona del papa Paolo V, affidò gli affreschi della Cappella Paolina a Santa Maria Maggiore e fu committente di uno dei suoi massimi capolavori, l'Aurora nel casino ora Pallavicini-Rospigliosi. Tra le opere di Guido Reni della Galleria, di tipologia e soggetto del tutto differenti, il Mosè con le tavole della Legge, riferibile alla maturità dell'artista. Dopo il suo arrivo e appena possibile, in accordo con le decisioni sulla riapertura dei musei, il dipinto verrà presentato al pubblico in una cornice di iniziative che ne illuminino l'origine e il suo posto nel contesto romano del primo Seicento.