Ornella Muti: «Meglio i fotoromanzi che i social. Io sex Symbol? Ero un'imbranata»

Ornella Muti: «Meglio i fotoromanzi che i social. Io sex Symbol? Ero un'imbranata»
Ornella Muti: «Meglio i fotoromanzi che i social. Io sex Symbol? Ero un'imbranata»
di Francesco Alò
Giovedì 23 Luglio 2020, 11:20 - Ultimo agg. 12:57
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Inseguita e desiderata dai registi italiani degli ultimi cinquant'anni, la splendida Ornella Muti, 65 anni, riappare improvvisamente davanti ai nostri occhi come il sogno di una giornata di mezza estate. In quella del 1970, l'appuntamento settimanale dedicato alle storie d'amore fotografate in posa, intitolato Sogno, vedeva l'arrivo di una nuova star, lei.

Ma è vero che all'epoca la chiamavano la dea dei fotoromanzi?
«È la prima volta che sento questa espressione. Ma se ero un'imbranata»

Il sex symbol Ornella Muti... un'imbranata?
«Mi sentivo impacciata e timida. Mi ricordo che anche in un carosello facevo fatica ad essere sciolta. Mi vergognavo tantissimo. Quando facevo la foto con la mano davanti alla bocca per mimare di chiamare qualcuno andavo nel pallone. Era una tortura. La verità è che all'epoca entravo in un mondo dove la dea del fotoromanzo era un'altra: mia sorella Claudia Rivelli o anche Katiuscia. Le protagoniste e le regine erano loro, io mi sentivo Cenerentola. E c'erano anche uomini deliziosi come Franco Gasparri. Io avevo solo 13 anni».

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Che cosa la imbarazzava?
«Non riuscivo a fare le cosiddette espressioni a vuoto come nel cinema muto. Potevi anche urlare mentre ti facevano la foto ma io non riuscivo a fare bene nemmeno quello».

Le scene maliziose la turbavano?
«Ma no. Non si può dire che fossero baci veri quelli dei fotoromanzi».

Che ricordo ha complessivamente di quella esperienza?
«Era un ambiente molto semplice, pulito e simpatico. Il passaggio al cinema fu molto più traumatico perché sul set c'era più nervosismo e tensione. I fotoromanzi me li ricordo come un gioco in famiglia dove dominava sempre un senso di armonia».

Qual è l'ultima volta che ha ripensato a quel periodo prima di questo revival?
«Stavo girando Civico zero (2007) di Citto Maselli e all'improvviso ci siamo ritrovati con la troupe negli stabilimenti della vecchia Lancio dove giravamo i fotoromanzi. Mamma mia che impressione che mi fece».

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Perché?
«Perché era tutto abbandonato ma io avevo ancora davanti agli occhi la folla di ammiratori che veniva ogni santo giorno per provare anche solo a vedere mia sorella o Katiuscia e chiedere loro un autografo. Mi ricordavo quei luoghi brulicanti di gente, soprattutto giovani fan, mentre invece in quel 2007 era tutto deserto e desolato».

Che ruoli aveva Ornella Muti in quelle storie? La ragazza semplice o la Lolita?
«Eravamo tutte ragazze normalissime. Truccate sì ma rispetto a oggi di una bellezza quotidiana, oserei dire spontanea. Io facevo sempre l'innocente, mai niente di seducente o ambiguo».

Che ricordi ha di sua sorella su quei set?
«Magnifici. Le chiedevo tanti consigli, lei mi preparava i vestiti e mi aiutava. Una cosa da vera sorella più grande».

Che effetto potrebbero avere quelle storie d'amore sulle nuove generazioni?
«Odio quelli che dicono: Stavamo meglio prima ma non posso negare che quando vedo questi giovani che sui social si fotografano sempre alla ricerca di essere super belli, super fichi o super freak, mi viene da rimpiangere la normalità di quelle love story a collage fotografico e di quei corpi giovani così quotidiani e rilassati. Forse i giovani troveranno questi vecchi fotoromanzi meno stressanti rispetto ai loro profili social».

Che impressione le ha fatto vedere la copertina con Katiuscia da domani in edicola?
«L'epoca di grande celebrità di Katiuscia l'ho vissuta meno. Non ho ricordi vividi di lei. Vedere la copertina con il suo volto mi ha fatto molta tenerezza. La trovo bellissima e pulita. Non c'è quello sguardo ammiccante che vedo oggi dappertutto. E' una sensualità fresca e leggera».

Che Italia c'era in quei fotoromanzi?
«Storie d'amore di ragazze e ragazzi perbene, italiani giovani e onesti. Mi piace da morire questo revival in edicola. Ci ricorda le radici che ci appartengono e a cui apparteniamo. In fondo si è trattato della nostra gioventù professionale prima che molti di noi approdassero al cinema e in televisione. Sono fiera di tutto ciò».
 

 

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