Da Vasco Rossi a Monica Bellucci, i "ritratti dell'anima" di Giovanni Gastel in mostra al Maxxi

Maxxi_Miriam Leone, Monica Bellucci e Carolina Crescentini_credits Ph. Giovanni Gastel
Maxxi_Miriam Leone, Monica Bellucci e Carolina Crescentini_credits Ph. Giovanni Gastel
di Gustavo Marco Cipolla
Martedì 22 Settembre 2020, 10:48 - Ultimo agg. 10:50
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Scatti dell’anima in bianco e nero, ma non solo, in un “labirinto” di volti ed espressioni. Oltre 200 ritratti, che sono vere e proprie opere d’arte, in mostra allo Spazio Extra del Museo Maxxi di Roma per la personale “Giovanni Gastel. The People I like”, aperta al pubblico lo scorso 15 settembre e visitabile sino al 22 novembre prossimo. Un percorso espositivo intimo, curato da Uberto Frigerio con l’allestimento di Lissoni Associati, che narra dietro ogni viso lo spirito e la verve di personaggi illustri incontrati da Gastel nel corso della sua carriera, lunga 40 anni. Donne e uomini dello spettacolo, del mondo della moda, del cinema e dello sport. Ma anche celebri chef stellati e cantautori noti e amati dai fan in un album fotografico collettivo, che è quasi una dichiarazione di intenti, con cui il maestro santifica i lavori ritrattistici come se fossero la sua autentica caratteristica di riconoscibilità professionale.
 

 

 
IL CAOS CREATIVO NELL’ARTE DELLA FOTOGRAFIA
 

Seguendo il fil rouge della corrente umanistica, lo scopo dell’artista è quello di ridare all’individuo un valore soggettivo che si mescola alla coralità degli altri in un caleidoscopio di modelle, attori e attrici, politici, designer e operatori del settore esposti con rughe e sorrisi, senza un particolare ordine. Giovanni Gastel nel suo caos creativo si affida alla casualità della luce, alla gestualità di ogni celebrity, rende umano ciò che sembra irraggiungibile, indipendentemente dalla categoria di cui fa parte. «The People I like racconta il mio mondo, le persone che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l’anima. E  per me questo non dipende dalla loro origine, estrazione sociale, gruppo di appartenenza o altro. L’anima è qualcosa di unico, indipendente e, come tale, non segue nessuno schema predefinito, come il cuore.», spiega l’autore, che aggiunge «La mia è una ricerca che alimenta il mio vivere, il mio sentire, la mia arte… fotografare è una necessità e non un lavoro. Rendere eterno un “incontro” tra due anime, mi incanta e mi fa sentire parte di un tutto che si rinnova continuamente nello sguardo di chi legge e comprende le mie opere». Attimi rubati, poetici click, realistici brividi di momenti del vissuto di ogni singola ed iconica immagine, oltre l’esteriorità, per indagare un senso più profondo e introspettivo della complessità del soggetto immortalato. Come su un palcoscenico teatrale, i portrait autoriali scavano la sfera affettiva e psicologica, vanno al di là della semplice fisionomia, sono testamenti esistenziali e non solo fisici.
 
L’ALLESTIMENTO LABIRINTICO DEI RITRATTI D'AUTORE
 
L’architetto Piero Lissoni, che ha ideato l’allestimento, riproduce volutamente tale sensazione nello sfondo scenografico. Nell’area centrale della sala di 125 metri di lunghezza, i ritratti fotografici si muovono, quasi rincorrendosi a vicenda in un circuito dialogico sulle pareti mobili di 3 metri d’altezza. In diagonale si specchiano, allo spettatore viene lasciata la facoltà di farsi guidare dall’istinto per darne una personale interpretazione. «La struttura spaziale richiama quella già adottata insieme a Germano Celant per la mostra di Giovanni Gastel a Palazzo della Ragione a Milano: un omaggio al critico d’arte, curatore nel 2016 di quella retrospettiva, recentemente scomparso. Uno spazio labirintico, chiuso tra quinte di dimensioni differenti, svela i ritratti di Giovanni Gastel dove i personaggi raffigurati si affacciano dalle finestre/cornici di una sorta di paesaggio urbano. - fa sapere Lissoni - Questa dimensione collettiva dell’esposizione enfatizza il sistema di relazioni e connessioni coltivate dal fotografo durante tutta la sua carriera, senza rinunciare a presentare l’individualità specifica dell’indagine introspettiva del singolo soggetto ripreso. I colori di questo piccolo borgo immaginario alternano il bianco e il nero, assecondando una scelta frequente nella tipologia dei ritratti di Gastel, così come la soluzione grafica del corpo scala dominato dalla gigantografia dell’artista che accoglie i visitatori. La proposta espositiva è arricchita da una formula più tradizionale nella museografia della ritrattistica riservata alla collezione dei cosiddetti “colli neri”: dalle suggestioni di un esterno urbano, si passa quindi alla proposta di un interno, la “galleria dei ritratti” in bianco e nero di personaggi che indossano tutti un dolcevita scuro».
 
DA BARACK OBAMA A BEBE VIO, I VOLTI ICONICI IN MOSTRA
 
Vasco Rossi, Pino Daniele, Roberto Bolle, Bebe Vio, Bianca Balti, Luciana Littizzetto, Franca Sozzani, Marco Pannella. Poi, ancora, Barack Obama, Giorgio Forattini, Ettore Sottsass, Germano Celant, Mara Venier si alternano a Mimmo Jodice, Rosario Fiorello, Zucchero Sugar Fornaciari,Tiziano Ferro, Antonello Venditti, affiancati dalle bellissime Miriam Leone, Monica Bellucci, Isabella Ferrari, Carolina Crescentini e tanti altri. E diventano gigantografie di 130x90. L’epilogo dell’expo si consuma in una specie di quadreria: 80 immagini della serie dei colli alti neri. Testi e componimenti, legati all’emotività di Gastel, completano con un accento letterario il percorso. «Se la fotografia racchiude l’essenza di un luogo, una persona o un gesto e se la moda è sembianza, forma e immaginazione, Giovanni Gastel ci ha viziati con inconfondibili scatti ai quali accostarsi ora con stupore, ora con disincanto. Una tavolozza di emozioni si sprigiona dall’eleganza delle inquadrature, dalla scala dei toni e dalla nitidezza della relazione con il soggetto.- dichiara la presidente della Fondazione Maxxi Giovanna Melandri - La mano dell’autore, la luce dell’obiettivo che lo asseconda non si appagano di rappresentare la superficie dei mondi reali, ma perfino nel caso sfavillante del fashion sanno cogliere pieghe celate di una creatività non effimera. Un "intreccio tra nostalgia e creazione, tra dandysmo e arte", citando le parole del rimpianto Germano Celant, e l’antica consuetudine con il teatro e con la poesia, infondono nelle opere di Gastel, come suole ripetere, una magia più etica che estetica, densa di messaggi. In questa inedita, avvolgente galleria di ritratti ideata per il Maxxi dà al pubblico un’altra rivelazione di sé. Scorrono nei nostri occhi, non davanti alla mera curiosità di spettatori, i volti, le pose, i sogni di figure dello star system, leader politici e intellettuali più o meno noti, incontrati nelle diverse stagioni della nostra epoca pre e post digitale. La seduzione che emanano è particolarmente rara. Perché i protagonisti sono sempre due, il personaggio narrato e il maestro narrante, eppure siamo noi stessi, mentre li scrutiamo entrambi, a rispecchiarci e a sentirci immersi nel loro immaginario. "Nelle loro anime", direbbe Gastel».
 
LA VISIONE ESTETICA OLTRE L’ESTERIORITÀ
 
 «Ogni ritratto rappresenta l'incontro e la sintesi di due immaginari o di quattro come scrive Roland Barthes nel suo saggio sulla fotografia La camera chiara: "Quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia è quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte". Due persone che si incontrano ogni volta in un modo diverso, una magica sintesi che ho visto scattare infinite volte: seduzione, empatia, scoperta reciproca-  sottolinea il curatore Frigerio- Questo è l'aspetto più singolare del set fotografico di Giovanni trasformato, ogni volta, in un evento artistico. È con il passaggio in post-produzione che si completa l'opera. È qui che, soprattutto, si verifica il salto creativo, la visione personale del fotografo che va oltre quello che vede davanti alla macchina fotografica e lo riporta ad un suo personale immaginario. A Gastel la fotografia intesa come riproduzione fedele del reale non interessa. Ed è per questo che lui, in qualche modo, trasforma il soggetto fotografato nell'icona di se stesso, ovvero nella visione nitida e personale del suo sguardo e del suo mondo. Mondo che ri-vede e ri-disegna seguendo dei propri canoni di bellezza e di armonia».
 

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