Anastasio, da X Factor al Mattino: «Il successo solo un caso, potrei farne a meno»

Anastasio, da X Factor al Mattino: «Il successo solo un caso, potrei farne a meno»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 17 Aprile 2019, 12:00 - Ultimo agg. 12:14
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Dici «i ragazzi dei talent», poi passi una mattinata con (Marco) Anastasio e ti ricordi che non esistono «i ragazzi dei talent» come categoria universale, anche se alcuni, come Icaro, hanno volato molto alto e molto in fretta, per bruciare, o almeno cadere nell'oblio, con la stessa celerità. Lui, 21 anni da Meta di Sorrento, ha vinto l'ultima edizione di «X Factor», è diventato l'ultima sensazione del rap italiano ed ha poco intrapreso il suo primo tour, tutto sold out anche questa sera al Duel:Beat.
 

Allora, Anastasio, come si vive con il successo?
«Bene, forse perché non l'ho mai cercato, è arrivato per caso».

Per caso? Sembri sempre determinatissimo.
«Lo sono, ma avrei potuto smettere di fare rap in qualsiasi momento, anzi no, mi serve per esprimermi: avrei potuto lasciarlo per qualche anno, scegliere un altro mestiere, e poi ritrovare l'hip hop come personale divertimento. L'ho scoperto con Caparezza, Fabri Fibra e Mondo Marcio».

Però hai sfondato rappando De Gregori e i Pink Floyd, cosa apparentemente pericolosissima, magari anche insensata.
«Sì, è vero, ma per puro caso, mi ripeto: se mi fossi presentato due anni fa nemmeno mi avrebbero dato retta, l'anno prossimo potrebbero candidarsi ai provini eserciti di rapper, io sono capitato al momento giusto, con la proposta giusta».

È bastata la tua «Generale» reloaded per fare centro. Di chi è stata l'idea? Tua o dello staff di Sky?
«Mia, già alla seconda puntata avevo capito che cosa dovevo fare: mi hanno ascoltato e... hanno concordato con me che quella era la strada da percorrere».

Apparentemente l'hip hop e Fossati o Battiato hanno poco in comune. Tu sostieni, e forse dimostri, il contrario.
«Io sono cresciuto anche con i grandi cantautori e, poi, mi piace scrivere: rap, canzoni, sonetti, racconti. Se mi dai un grande pezzo come Generale mi è facile ripensarlo in chiave hip hop, non chiudermi nelle gabbie dei generi».
 
 

Veniamo al tour, il primo, e subito tutto esaurito.
«Me lo aspettavo, ma ogni sera la soddisfazione è tanta, non senza un pizzico di frustrazione».

Frustrazione?
«Rappo perché scrivo, scrivo perché voglio parlare, essere ascoltato e capito, ma quando hai davanti mille persone quelle smettono di essere persone e diventano pubblico, un blob indistinto, che magari pensa più a riprenderti con il telefonino che ad emozionarsi, che preferirebbe farsi un selfie con te piuttosto che conoscerti meglio. Così chiedo di spegnere i telefonini e so già che qualcuno continuerà imperterrito».

Verrebbe da dire: hai voluto la bicicletta e mo'... pedala. L'esposizione regalata da un talent show vincente non può essere senza controindicazioni.
«Lo so e non me ne lamento. Ma non voglio nemmeno accettare tutto supinamente. Oggi mi va bene così, domani potrei urlare: fermate il mondo voglio scendere».

Per ricaricarti c'è la tua Meta di Sorrento. O anche lì non sei più il Marco di prima?
«Certo, restarmene solitario con il cane sulla riva non è facile come un tempo, ma senza il mio buen retiro e gli amici di sempre non saprei come fare».

Che show vedremo? Come fai a reggere un concerto con un solo ep?
«Ci sono le cover che ho fatto a X Factor e ho ripreso qualcosa dei miei esordi come Nasta e non solo. Con la band vi faremo divertire».

Quando ti facevi chiamare Nasta avevi fatto centro con «Come Maurizio Sarri». Scriveresti mai «Come Carletto Ancelotti»?
«Mai. In quel pezzo non nominavo mai il Napoli, non era una canzone da tifoso, ma su un'idea, su un uomo che insegue il suo pensiero, che sogna la sua rivoluzione e non la vende sino alla fine».

Lo segui anche al Chelsea, quindi.
«Certo, ma ora più che al Comandante dobbiamo pensare alla remuntada contro l'Arsenal».
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