Meravigliosi anni '80, a volte ritornano per paura del futuro

Meravigliosi anni '80, a volte ritornano per paura del futuro
di ​Generoso Picone
Giovedì 2 Febbraio 2017, 08:47 - Ultimo agg. 13:25
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«Niente dura per sempre, finisce ed è meglio così», canta Francesco Bianconi dei Baustelle nel brano «Amanda Lear», il pezzo per ora più conosciuto dell’ultimo album della band di Montepulciano «L’amore e la violenza». Sarà, ma proprio nelle tracce del loro lavoro appare evidente l’inevitabilità della torsione dello sguardo, della tentazione a recuperare suoni, parole, gesti e pensieri del passato. Capita sempre, la vita è fatta così, sembrano giustificarsi poi spiegando che «la vita è tragica, la vita è stupida, però è bellissima, essendo inutile». Ma in quell’inseguire immagini e momenti di un tempo che dura ancora i Baustelle paiono ancorati a un ceppo cronologico saldo e centrale, a un territorio mentale più che artistico. Agli anni ‘80.

Niente dura per sempre e però si ha la sensazione che quasi all’improvviso gli anni ‘80 siano ancora lì, a presentarsi come in uno struggente déjà vu gravido di nostalgia e ripensamenti, di ansie e dolori. Il periodo del «Sussidiario illustrato della giovinezza» dei Baustelle - il titolo della loro prima raccolta: per altro, il singolo d’esordio si chiamava «Le vacanze dell’83» - su cui Antonio Prete ribadirebbe la sua convinzione che «non si ha nostalgia di un luogo ma del tempo vissuto in quel luogo. Non dell’infanzia ma del tempo che l’infanzia designa. E quel tempo è definitivamente perduto». 

Però a volta ritorna. Ora gli anni ‘80 hanno il volto di Romeo Fioravanti, bello, viziato e un po’ arrogante, già bocciato con il rischio di ricaderci, il quale neanche maggiorenne arriva a destabilizzare il menage liceale di Vince, Cate e Spagna nella Torino del 1987, raccontato da Luca Bianchini in Nessuno come noi (Mondadori, pagg. 250, euro 18). Sono vestiti come allora Olimpia e Ruggiero che in Lame di Gabriele Pedullà (Einaudi, pagg. 160, euro 9,99) partecipano puntuali al rito del pattinaggio settimanale sul colle del Pincio a Roma sulle note di «Thriller» di Michael Jackson, paradigma e metafora di un’epoca: «Spudorata celebrazione degli anni ‘80, ironica e filologica al tempo stesso», ne dice Pedullà, quasi a dialogare a distanza con il compianto Remo Ceserani che nel saggio Il romanzo sui pattini agli inizi del 1990 tentò di definire una mappa della narrativa del decennio di Pier Vittorio Tondelli, Sandro Veronesi, Claudio Piersanti, Andrea De Carlo, Enrico Palandri. Magari, oggi, Olimpia e Ruggiero avranno in tasca un biglietto per uno dei due concerti che gli U2 terranno a Roma il 15 e il 16 luglio prossimi allo Stadio Olimpico per il trentennale di «The Joshua tree», uscito appunto il 9 marzo 1987, e inseriranno nel loro repertorio anche «With or without you», «Where the street have no name», «In God’s country» o «I still haven’t found what i’m looking for». La mattina certo ascolteranno Radio Deejay che giusto ieri sera ha festeggiato i 35 anni di attività, «On nation, one station» dal primo febbraio 1982.

Insomma, il week end postmoderno di Tondelli, il catalogo di nomi, locali, canzoni, graffiti, racconti, amori e addii dalla provincia emiliana a New Yook, da Rimini a Berlino, dagli Smith a Juan Gatti, chieda una proroga. Mettendo all’incasso i suoi conti ancora aperti: ci sarebbe mai stato un Donald Trump presidente degli Stati Uniti senza il Ronald Reagan alla Casa Bianca dal 1984 al 1989 o una Theresa May al numero 10 di Downing Street a Londra senza la Margaret Thatcher primo ministro dal 1979 al 1990? E in Italia: il lessico politico di oggi vibra ancora per le parole chiave «riforma» e «coalizione», protagoniste sconfitte dalle temperie di 30 e più anni fa.

Che cosa succede? Certo, viene utile tenere presente quanto afferma la storica Antonella Tarpino citando Charles Mayer: «L’attenuazione della memoria, il suo segno debole, non è disgiunta da una parallela tendenza della memoria a celebrare se stessa», con la conseguenza di trovarci a che fare con «una memoria in larga parte immemore del passato ma insieme incontinente», con un passato che rivive in forma di una parodia. È la deriva del kitsch, delle memorabilia sulle bancarelle d’occasione.

C’è comunque anche una verità consegnata nei contorni ambivalenti dell’eterno ritorno all’uguale. Il ritorno degli anni ‘80, la malinconia per quel tempo perduto, la cerimonia del passato sempre migliore del presente potrebbe, cioè, nascondere l’incapacità a guardare avanti, a pensare prima ancora che costruire un futuro. «La coazione a ripetere implica un blocco dell’immaginazione, ossia il tracollo della “facoltà di rappresentare un oggetto anche senza la sua presenza”», avverte il filosofo Paolo Virno con le parole di Immanuel Kant. L’oggetto che non c’è ora è l’avvenire e un percorso bloccato sulla memoria che celebra se stessa, magari nell’inganno dell’invenzione, non consente a nessuno di acquisire la dimensione della prospettiva. «È solo immagine, è tutta estetica», dicono i Baustelle in un brano che si intitola «La vita».
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