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Ariete a Sanremo 2023: «Al festival per vincere i miei mostri»

«Scrivere è una terapia, una volta che stai bene con te stesso stai bene con gli altri»

Arianna Del Giaccio in arte Ariete
Arianna Del Giaccio in arte Ariete
di Federico Vacalebre
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 25 Gennaio 2023, 11:00
5 Minuti di Lettura

È uno scricciolo Arianna Del Giaccio, di Anzio, classe 2002, che arriva a Sanremo convinta di essere finita in un «Mare di guai», come il titolo della canzone con cui debutterà all'Ariston, di non «saper nuotare in una vasca piena di squali», quale le sembra il mondo intorno a lei, «ma anche, anzi soprattutto, quello dentro di me», spiega, saggia e pacata, pronta a difendere le sue posizioni, ma anche a «presentarsi a un pubblico così ampio che più non si può, ad uscire dalla mia comfort zone, con un brano melodicamente diverso dal solito». Sanremese, si direbbe persino, non fosse che si apre con un nettissimo «Tu, tu eri più bella di me».

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Pronta a diventare, con Madame e Rosa Chemical si intende, la paladina del mondo lgbtq+ all'Ariston?
«No, sogno un mondo in cui cosa ho tra le mie gambe o con chi vado a letto non sia argomento di conversazione. Dico lei perché è una mia storia, ma se dicessi lui la melodia, la canzone, l'emozione non cambierebbe. Spero di vedere un mondo in cui una ragazza possa uscire per strada tenendosi per mano con la sua lei, in cui un ragazzo possa andarsene a passeggio in gonna e borsetta, in cui si venga valutati come persone, non per il genere. Per la generazione dei miei genitori la sessualità è stata un problema, spero non lo sia più per i miei figli».

Per te è stata un problema?
«Io ho avuto un'adolescenza fantastica. Sono contenta quando ragazzi e ragazze vengono da me a dirmi che le mie canzoni hanno dato loro una mano per fare coming out, ma non le scrivo per questo, servono a me: io sono una delle poche persone che ha trovato un mestiere, scrivere e cantare canzoni, durante la clausura da pandemia».

Un solo album, «Specchio» e già tanta responsabilità sulle spalle, il successo di brani come «Castelli di lenzuola» e «Cicatrici» (con Madame), ti hanno eletta principessa del pop da cameretta. Ora Sanremo.
«A vent'anni è un'opportunità enorme da cogliere al volo. Alla prima prova con l'orchestra mi sono sentita piccolissima davanti a così tanti professionisti al mio servizio. Alla prima prova all'Ariston ho trovato il teatro piccolissimo, poi l'ho visto enorme nelle inquadrature delle telecamere».

Chi sono gli squali di cui canta il tuo pezzo?
«Sono le mie paure, le mie inadeguatezze, i miei mostri, i nemici che mi invento da sola, pur sapendo che, se non disturbati, gli squali non sono pericolosi».

Nessun riferimento a quanti criticano la svolta «fluida» sanremese?
«No, io ho una sola convinzione: vivi e lascia vivere. La prima volta che Amadeus mi ha introdotta nel grande salotto televisivo di Raiuno molti hanno detto: Credevo che fosse un maschio. Pazienza, l'avevano detto anche di Madame e, poi, che importa?».

Pentita delle esternazioni anti-Meloni?
«No, ma noi ragazzi qualsiasi cosa facciamo o diciamo sbagliamo sempre. Se abbiamo un'idea politica e se non la abbiamo, se studiamo o se lavoriamo o se non facciamo nessuna delle due cose. Non ho nessun problema con la premier, con il suo essere donna, italiana e cristiana, vorrei che nessuno ne avesse con chi, invece, è gay e marocchino, ad esempio».

Ariete riscopre l'impegno?
«No, ma è quello il problema della mia generazione, ci sembra che l'impegno sia inutile, mentre le battaglie di mio padre, giornalista di cronaca nera, 55 anni, a qualcosa hanno portato. Se proviamo a dire la nostra su quei social di cui siamo schiavi, è vero, e di cui gli adulti ci accusano di essere schiavi, siamo subito criticati - sugli stessi social - dagli stessi adulti che ci accusano di essere schiavi dei social».

Vent'anni e già sfiduciata?
«No, preoccupata. Se io e i miei coetanei non abbiamo interessi politici è perché non ce li hanno trasmessi».

Torniamo a Sanremo.
«Ci sono solo grazie alla svolta di Amadeus».

Che l'anno scorso la bocciò.
«È vero, avevo un pezzo pronto, non se n'è fatto nulla, ma sono contenta di esserci adesso, mi sento più preparata e felice di un Festival dove se ci sono io, ci può essere anche Gianluca Grignani, e se c'è Grignani ci può essere anche Anna Oxa, e poi Tananai. C'è spazio per tutti e la presenza di uno non esclude l'altro: è così che a me piace vivere la musica».

Sembrerebbe di tornare ad un discorso politico, di pensare ad un Festival color arcobaleno.
«Io sto pensando a prepararmi a livello tecnico. Vado per cantare, non per fare altro, voglio essere preparata».

Veniamo al tuo «Mare di guai».
«Era nato come un up tempo, poi Dardust - era la prima volta che lavoravo con lui come produttore - mi ha detto che meritava di diventare una ballata, soprattutto quando abbiamo immaginato la destinazione sanremese».

Ariete si sanremizza?
«Ma no, sto scrivendo per il mio prossimo album restando fedele a me stessa, questo è un esperimento, una maniera per presentarmi agli italiani».

Oltre a Dardust il brano risente della mano di Calcutta.
«È un grande, ha scritto la seconda strofa, mi ha aiutato a centrare il pezzo: la prima volta che l'ho ascoltato nella nuova versione mi ha preso un coccolone. Poi, però... il vestito mi sembra elegante, da Festival, ed io continuo a raccontare le piccole cose della mia vita quotidiana. Resta una canzone molto mia, scritta quando ero giù».

Scrivere è una terapia?
«All'inizio mi chiedevo se le persone mi avrebbero capito: lo hanno fatto più di quanto non mi sia capita io, pur ricorrendo ad una psicologa. Dalla scuola alla mia famiglia, in tanti non hanno saputo cogliere le mie fragilità. Ad aiutarmi è arrivata la musica. Una volta che stai bene con te stesso, stai bene con gli altri. Ora va meglio anche con mamma e papà». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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