Art Kane, il figlio Jonathan: «Mio padre riunì i giganti di Harlem in una fotografia»

©Art Kane Archive
©Art Kane Archive
di Flaminia Bondi
Mercoledì 12 Agosto 2020, 20:17 - Ultimo agg. 13 Agosto, 08:51
8 Minuti di Lettura
Si riunivano oggi, il 12 agosto del 1958, sotto un sole cocente davanti a una residenza qualunque di Harlem, 57 musicisti jazz. Si erano svegliati presto quella mattina per cogliere un’opportunità più unica che rara: svelare al mondo il vero volto del jazz. A dargli quest’opportunità Art Kane, un giovane fotografo alle prime armi, ma visionario e tenace, che voleva tentare l’impossibile: riunire, in un’unica foto, i grandi nomi del jazz ovvero chi il jazz lo stava inventando ma in silenzio e lontano dai riflettori che erano invece puntati su personaggi come Benny Goodmen e Gene Krupa.


©Art Kane Archive

Kane, allora Art Director della rivista Esquire, sapeva che il prossimo numero sarebbe stato interamente dedicato al jazz. Da tempo desideroso di lanciarsi nel mondo della fotografia, vedeva in quello scatto l’occasione che stava aspettando per mettersi alla prova. Il suo scopo era quello di creare qualcosa che nessuno aveva mai visto prima e di farlo celebrando gli artisti che tanto amava.

Insieme al suo team e agli editor Harold T. P. Hayes e Robert Benton, che era riuscito con fatica ad imbarcare nella folle impresa, aveva passato le due settimane precedenti al telefono, lanciando un appello a tutti gli artisti jazz, dandoli appuntamento sulla 120 esima strada tra la 5th e la Madison, alle dieci in punto, un orario impensabile per chi era abituato a fare le ore piccole suonando nei locali. Completamente ignaro di chi si sarebbe effettivamente presentato, sperava di radunarne venti. Eppure ecco che arrivarono, davanti ai suoi occhi increduli, tutti i suoi idoli: Dizzy Gillespie, Charles Mingus, Thelonious Monk, Marian McPartland, Art Blakey, Milt Hint, Sonny Rollins, Lester Young, Count Basie e tantissimi altri. Mentre prendevano posto sulle scalinate, improvvisando come solo loro sapevano fare, si salutavano con grandi feste, ridendo e scherzando, scambiandosi notizie sulla musica e sulla propria vita. Se non fosse stato per il giovane Art Director che, macchina fotografica in mano, gesticolava tentando di organizzare gli spostamenti circondato dalla sua equipe, ci si sarebbe creduti ad un tipico barbecue newyorkese tra amici e parenti, in una calda giornata estiva. Eppure quel giorno sarebbe passato alla storia, per sempre ricordato dal mondo della musica – e non solo - come “A great Day in Harlem” (un fantastico giorno ad Harlem), ovvero quando i giganti del jazz vennero immortalati in un unico scatto. Un avvenimento speciale, quanto le persone che ne presero parte e che non si sarebbe mai più ripetuto.

Creare scenari unici e mai visti prima, era proprio una prerogativa di Art Kane, che con il tempo venne conosciuto per la sua incredibile capacità innovatrice. Dopo lo scatto di Harlem, che gli aveva definitivamente aperto le porte della fotografia, le sue lenti diedero infatti vita a innumerevoli foto che diventarono tra le più iconiche della storia, e che continuano a segnare l’immaginario collettivo di diverse generazioni. Non si può per esempio non menzionare l’inconfondibile foto di The Who avvoltolati nella bandiera inglese, o quella di Louis Armstrong seduto su una sedia a dondolo davanti al tramonto della California, o i celebri ritratti di Aretha Franklin, Bob Dylan e Andy Warhol con il viso dipinto d’oro. Oggi a mantenere vivo il ricordo e la magia di questi scatti è il figlio Jonathan, che, dopo la morte del padre nel 1995, ne ha preso in mano gli archivi.

“So bene che il lavoro di mio padre non sarà mai dimenticato” spiega “ma non voglio solo che le persone non se ne dimentichino, vorrei che sapessero quanto è stato significativo”.

Jonathan Kane, 63 anni, lui stesso fotografo ma anche musicista e direttore del ART KANE Archive, continua a promuovere il lavoro del padre, organizzando mostre e pubblicando libri. Nel 2018, da una collaborazione con Guido Harari, nasce un libro esclusivamente dedicato alla famosa foto “Harlem 1958”, dove il lettore può rivivere pagina dopo pagina quell’indimenticabile giornata. Parlando della foto, Jonathan confessa: "era per tutti un'idea assurda, ma funzionò”.

I musicisti risposero infatti in massa all’appello di Kane, per via del particolare periodo storico. Nell’America che era stata da poco quella dei “race records”, la segregazione pesava ancora molto sugli artisti afro-americani, che spesso durante le tournée con le band non potevano alloggiare nello stesso hotel dei loro colleghi ‘bianchi’. “I musicisti afro-americani erano all’origine di tutte quelle creazioni musicali” mi conferma Jonathan “ma tutto ciò che stavano facendo o suonando veniva preso in prestito o rubato da artisti americani ‘bianchi’ che poi ci mettevano la faccia e ci guadagnavano soldi” continua sconcertato. Apparire su una rivista che godeva di un vasto publico come Esquire era quindi l’occasione di ottenere finalmente un certo rispetto e ricoconoscimento dalla “mainstream America”, rivendicando il proprio ruolo e la propria influenza su un genere musicale che stava già conquistando il cuore di tutti gli americani. Sulla scelta di Harlem Jonathan aggiunge “Harlem è dove il jazz ha casa a New York, e la maggior parte dei musicisti viveva lì”.

‘Harlem 1958’ segnò una svolta nella vita del fotografo che, pur riconoscendone il successo, non ne parlava quasi mai. Per Jonathan, suo padre non guardava mai indietro, ed era sempre in cerca del prossimo scatto.

Audace, carismatico e convincente, Art Kane era soprattutto abile nel far riprodurre ai suoi soggetti le proprie idee. La sua strabigliante capacità di persuasione divenne nota quando, nell’intento di eseguire un altro scatto per Esquire, Kane riuscì a convincere Louis Armstrong – che allora si trovava a Las Vegas - a salire su un piccolo aereo in direzione della California, malgrado la sua grande paura di volare, e per di più (a causa di uno spazio limitato nell’abitacolo) non accompagnato dalla moglie, senza la quale non voleva mai viaggiare.

Per Kane, essere fotografo era inoltre come essere detective: bisognava studiare a fondo il proprio soggetto, capirlo, e poi creare un’immagine che rifletteva la propria interpretazione di quell’individuo e del suo mondo. Il suo obbiettivo era quello di raccontare una storia, per questo ogni sua foto era perfettamente studiata e piena di significato. Kane aveva per esempio notato che il gruppo musicale The Who aveva l’abitudine di avvolgere i suoi amplificatori nella bandiera inglese, e per questo motivo decise di fare lo stesso con loro nel suo famoso scatto della band.

“Era come un regista” mi racconta divertito Jonathan “solo che invece di girare film lui cristallizzava la sua visione del mondo in un unico e perfetto fotogramma".

I suoi scatti avevano però qualcosa in comune: la musica. Art Kane amava suonare e comporre, e da ragazzo sognava di diventare un batterista. Data la sua celebre foto di Harlem, molti pensano che fosse solo un grande amante del jazz, ma la sua vera passione erano i Beatles e più tardi i Pink Floyd - aveva circa 16 copie dell’album ‘The Wall’. Amava anche la musica classica, e Jonathan si ricorda di quante volte veniva ascoltata in macchina nei vari viaggi di famiglia. “Quando papà ci faceva sentire la sinfonia n.5 di Čajkovskij, ricordo che pregavamo di essere portati ad un concerto rock, perché il volume sarebbe stato meno alto” afferma ridendo.

A Kane piaceva poi scherzare, e i suoi scherzi erano forse famosi quanto i suoi scatti. Jonathan mi racconta per esempio di come si divertiva a vestire i propri figli nei panni dei Beatles, o di come una volta abbandonò il suo modello durante un servizio fotografico per la marca Marlboro, lasciandolo solo per la durata di un’intera sigaretta.

La musica però rimaneva una cosa seria a casa Kane, ed ebbe una notevole influenza sui figli. “Siamo cresciuti con il gira dischi che suonava in sottofondo” continua Jonathan “non amavamo sempre le stesse cose, ma eravamo tutti appassionati di arte e di musica". Anche il nonno materno era un pianista di ragtime che lavorava per il cinema muto. Spiega così il suo amore per il blues e il jazz a soli 11 anni, con Howlin’ Wolf come suo idolo, mentre i suoi compagni di scuola si divertivano ancora con il Rock’n Roll. Incoraggiato dal padre a suonare la batteria fin da piccolo, riceve poi il suo primo ‘set’ l’anno dopo, e da allora non ha mai più posato le bacchette. Dopo aver collaborato con artisti come La Monte Young and Rhys Chatham, oggi continua a suonare con la sua band FEBRUARY in giro per il mondo, anche in Italia.

Nonostante abbia messo anche lui i piedi nel mondo della fotografia, il figlio di Kane ammette di aver preferito il percorso di musicista per non competere con il padre. I due personaggi sembrano così essersi invertiti i ruoli, come in un remake del film ‘Freaky Friday’: Kane abbandona il sogno di diventare musicista preferendo le arti visive, che passano invece in secondo piano per Jonathan quando decide d’intraprendere la carriera musicale.

Eppure padre e figlio hanno qualcosa in comune. Come Kane, Jonathan è sempre alla ricerca di un nuovo ‘sound’, sempre pronto a sperimentare per creare qualcosa di nuovo e di originale. Questo l’ha portato ad allontanarsi dai generi più classici per interessarsi a un nuovo tipo di musica detta ‘minimal’. Il padre non capirà questo genere musicale, e ci vorrà del tempo per non considerarla più ‘rumore’. Il musicista ci scherza affermando : “ho buttato via la mia educazione di Berkley per fare rumore. Ma ho scoperto che facendo rumore potevo creare qualcosa di nuovo”. Secondo lui, più che rimanere negli schemi è importante dare nuovo spazio alle idee, ricordando che nella musica è fondamentale evolversi e andare avanti. "Penso che la perfezione sia incredibilmente noiosa" spiega “per questo non mi interessano più gli artisti che si accontentano di suonare la stessa musica di 50 anni fa".

Commentando il terribile impatto che ha avuto il COVID-19 sul mondo della musica, Jonathan, da bravo ottimista, insiste appunto sul bisogno di evolversi, sperando che questo difficile momento possa rappresentare una vera rinascita artistica. Conclude poi con un elogio all’Italia, secondo lui patria dei migliori musicisti che siano mai esistiti. Non sarò di certo io a contraddirlo.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA