Avion Travel, ritorno «dolce-amaro» 15 anni dopo l'ultimo album

Avion Travel, ritorno «dolce-amaro» 15 anni dopo l'ultimo album
di Federico Vacalebre
Venerdì 18 Maggio 2018, 10:10 - Ultimo agg. 22 Maggio, 21:08
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È bello rivederli insieme, in foto, in musica, in disco: Peppe Servillo e Mimì Ciaramella ritrovano Mario Tronco, Peppe D'Argenzio e Ferruccio Spinetti, gli Avion Travel ritornano la Piccola Grande Orchestra casertana. O forse no, perché manca Fausto Mesolella, anche se in «Privè» ci sono sue canzoni, c'è la sua chitarra elettrica (in un pezzo), c'è la sua lezione. La sua assenza poteva essere il punto di non ritorno, un buco capace di inghiottire la band che voleva tornare a incidere inediti: «Il 30 marzo dello scorso anno ci siamo visti la prima volta tutti insieme per ascoltare le canzoni e per pianificare una pubblicazione. Proprio nel pomeriggio di quel giorno Fausto ci ha lasciato», ricorda Peppe. È diventata, invece, «come succede nella vita vera, non solo in quella dei gruppi, una ripartenza dolorosa». Facendo a meno della chitarra, lo strumento di Mesolella, cercando una new entry, trovata in Duilio Galioto. Usando le canzoni come balsamo sulle ferite, come condivisione di un lutto.
 

Nel disco in uscita oggi gli At cambiano pelle, «come si cambia per non morire... come si cambia per ricominciare», suggerirebbe Fiorella Mannoia, a cui avevano prestato «Se veramente dio esisti», che qui si riprendono, insieme con l'iniziale «A me gli occhi» (Patty Pravo), con «Come si canta una domanda» e «L'amore arancione» (Musica Nuda). Cambiano per non morire, cambiano per ricominciare, costruiscono i nuovi suoni intorno a pianoforte e tastiere, piuttosto che alle sei corde, trovano cluster minimalisti, echi da incantautori, caramelle melodiche napoletane, citazioni dalle colonne sonore di Umiliani e Piccioni, sprazzi di jazz-rock, un soft-reggae, scene da un matrimonio bacharachiano, progressioni celentanesche...

«Era dal 2003 di Poco mossi gli altri bacini che non lavoravamo su nuovi materiali, anche se dopo c'erano stati i dischi dedicati a Rota e Conte e le nostre esperienze singole», ricorda il cantante: «Io a teatro con mio fratello Toni, con i Solis, con Girotto e Mangalavite; Mario e Peppe con l'Orchestra di Piazza Vittorio, Ferruccio con Petra Magoni... Ci eravamo fermati, quasi sciolti, riuniti prima dal vivo e poi... Fausto... Ci abbiamo pensato a lungo, alla fine questo lavoro è anche una maniera per scolorire il dolore, per dare un senso a un lutto. Anche Mesolella avrebbe fatto così, credo».

Un disco emozionante, necessario, nuovo nei suoni eppure fedele alla linea originale della formazione casertana grazie al modo di porgere di Servillo, ai testi che sembrano preghiere laiche, ma non profane, modulate su una religiosità incerta, che nulla sa delle liturgie di Chiesa, che parla con il Dio dei pomeriggi tristi ricordando la preghiera del clown Totò. «Come si canta una domanda» è una chicca, come lo è «Caro maestro», richiesta d'aiuto da parte di musici sperduti: «Si può sperare di cantare come hanno fatto un tempo... uomini e donne che cantavano con l'anima... Caro maestro, scusate se vi chiamo così, io vengo da un'Italia profonda, che per ora, scompare». Già ma chi è il maestro? «Una figura sottovalutata, di cui c'è tanto bisogno», riflette D'Argenzio. E il vocalist: «Noi ne abbiamo avuti tanti, Lilli Greco, Paolo Conte, lo stesso Fausto». E dalle lezioni dei maestri è venuto un album concepito come «una raccolta di storie personali declinate però per trovare un mood collettivo. Credo ci sia ancora spazio per le emozionali generazionali: noi le abbiamo divise tra impegno e cantautori ribelli, i ragazzi di oggi hanno altri suoni e sogni, che rispettiamo».

C'è teatralità, c'è senso della narrazione, in «Privè»: la title track è una piccola commedia umana, una storia scabrosa, di pruriti sadomaso, raccontata con un'ironia che serve a trovare la giusta distanza. Franco Marcoaldi piega alle note la sua poesia in «Il cinghiale», dove l'irruzione di un animale selvatico serve ad evocare le paure dell'altro, del «diverso», che marchiano questi anni precari. Pacifico dà una mano con i versi di «Alfabeto», «perché la musica non ha un senso, glielo diamo noi, glielo danno le parole», e firma da solo la conclusiva «Dolce e amaro», «che dà il senso al disco, al nostro mood, al nostro saluto a chi se n'è andato, ma anche a chi abbiamo ritrovato: ecco, la ripartenza è anche un reciproco ritrovarsi», conclude il sassofonista.

Martedì la presentazione napoletana alla Feltrinelli di piazza dei Martiri, il 23 giugno il primo concerto campano, al museo ferroviario di Pietrarsa, Portici.
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