Battiato, un centro di gravità permanente: a Verona la cura della canzone

A Verona in scena la cura della canzone

Battiato, un centro di gravità permanente: a Verona la cura della canzone
di Federico Vacalebre
Mercoledì 22 Settembre 2021, 08:05 - Ultimo agg. 17:15
5 Minuti di Lettura

Inviato a Verona

Organizzare un concertone-tributo non è facile, se poi l'oggetto dell'omaggio diventa Franco Battiato, talento poliedrico e tra i più influenti dell'ultimo mezzo secolo in Italia, allora la faccenda si complica ancora. I quattro cavalieri della sua memoria - lo storico manager Franco Cantini, il produttore Stefano Senardi, il fonico Pino «Pinaxa» Pischetola e il direttore d'orchestra Carlo Guaitoli - una volta deciso l'azzardo e prenotata l'Arena di Verona per ieri - quarantesimo anniversario dell'uscita di «La voce del padrone» - hanno scelto prima una quarantina di canzoni, votandole una per una, poi una quarantina di interpreti, votandoli uno per uno. «E se uno di noi non era d'accordo restava fuori. Abbiamo dovuto dire anche qualche no, doloroso», conferma Cattini, «ma ci sarebbe voluta una settimana per mettere sul palco tutti i colleghi con cui Franco era entrato in contatto», rilancia Pinaxa.

Così ecco invitati prima «la sua famiglia» (Alice, Morgan, Luca Madonia, Juri Camisasca), poi quelli vicini a lui per latitudine (il clan dei siciliani: Carmen Consoli, Colapesce-Dimartino, Giovanni Caccamo, Mario Incudine; Mario Venuti si è risentito di non essere stato invitato), affinità ed incontri artistici (Gianni Morandi, Enzo Avitabile, Angelo Branduardi, Max Gazzè, Fiorella Mannoia) o umani, ipotetiche discendenze.

Ma l'elenco dei presenti a questo «Invito al viaggio» è così lungo e composito - la canzone italiana avverte la lezione del grande scomparso come un suo centro di gravità permanente - che i leoni di tastiera dilaganti avranno di che divertirsi nello scandalizzarsi per qualche presenza nella «eletta schiera».

Non era tutto oro quello che luccicava naturalmente, lungaggini, ingenuità ed errori vocali non sono mancati, ma i 5.500 spettatori dell'Arena hanno percepito sin dall'inizio la portata intima della dedica, nonostante l'approdo natalizio su Raitre (con Pif nel backstage), l'inevitabile album live, gli speciali di Sky Arte in preparazione, la carrambata di Sgarbi e Al Bano sul palco, fischiatissimi.

E i quattro cavalieri dell'ordine battiatesco non hanno fatto sconti (quasi) a nessuno: «La cura» che hanno riservato al maestro era evidente nella scelta degli arrangiamenti originali, delle orchestrazioni originali, delle sequenze originali. Con il tastierista Angelo Privitera a controllare l'aderenza al dettato originale, l'Orchestra Filarmonica dell'Opera Italiana Bruno Bartoletti (ma anche il Nuovo Quartetto Italiano) a dare corpo e aria al tutto, Umberto Broccoli a coprire (ma un pizzico di leggerezza in più e di retorica in meno non ci sarebbe stato male) qualche buco di cambio strumentazione con citazioni da Baudelaire, Omar Khayyam e Rumi, tutti cari a Franco come le dediche a Milva, Giuni Russo, Giusto Pio, Manlio Sgalambro.

La fedeltà al sound permette ai testi di riecheggiare limpidi, ora filosofici, ora teosofici, ora politici, ora ironici ora semplicemente - si fa per dire - poetici, sempre lontani dall'ordinario sciocchezzaio canzonettaro. Mannoia («La stagione dell'amore»), Paola Turci («Povera patria»), Morandi finalmente a mani scoperte («Che cosa resterà di me»), Angelo Branduardi («Il re del mondo»), Max Gazzé («Un'altra vita»), Baustelle («I treni di Tozeur»), Gianna Nannini («Cuccuruccucù»), Luca Madonia («Summer on a solitary beach»), Diodato («E ti vengo a cercare») meritano gli applausi per interpretazioni lucide e intense. Meno a fuoco Emma («L'animale»), Jovanotti con Saturnino («L'era del cinghiale bianco») infiamma la platea. Come fanno le band che hanno le mani più libere, con i Subsonica di «Up patriots to arms» su tutti: gli Extraliscio di «Voglio vederti danzare», Cristina Scabbia con «Strani giorni», il supergruppo di Gianni Maroccolo (con Chimenti, Aiazzi e Brotto) che rilegge pagine del periodo più sperimentale del Nostro, i Bluvertigo di «Shock in my town». Ma a Morgan non può bastare gridare il nome degli amanti Velvet Underground, sul palco è anche misurato solista per «Come un cammello in una grondaia» e duetta «Segnali di vita» con Fabio Cinti. Arisa è concentratissima mentre in apertura di serata sfilano le immagini dei film di Battiato. Dalla temperie alternativa degli anni Settanta a Milano arrivano Eugenio Finardi e Roberto Cacciapaglia, da quella mistica Camisasca, da quella orientaleggiante Raghunat Manet, con la sua danza «baratha nathyam» ed il suo vina, progenitore del sitar. Mahmood è coraggioso in «No time no space», Avitabile duetta «Stranizza d'amuri» con Incudine traducendo i suoi versi in napoletano, «rinnovato omaggio ad un maestro di cultura mediterranea». Capossela recupera con ironia «La torre».

Alice, commossa, è da standing ovation, «Io chi sono?», «Prospettiva Nevski» e «La cura» sono balsamo sulle ferite aperte dall'addio al «santautore» (23 marzo 194518 maggio 2021), o forse ne aprono di nuove, perché lei canta per lui, senza di lui. Come saremo tutti costretti a fare, capendo quanta «cura» servirà mettere nella conservazione e manutenzione di questo prezioso canzoniere, autentico tesoro nazionale. Quando, alla fine di tutto, Battiato compare sul grande schermo alle spalle del palco nell'arancione di un tramonto sul suo Etna, con le note della sua ultima canzone, «Torneremo ancora», non ce n'è più per nessuno.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA