Bob Dylan, il ritorno al futuro dell’uomo che uccide la propria leggenda

Mentre l’artista più premiato del mondo arriva in Italia con le sue canzoni più recenti «Shadows kingdom» rilegge sue antiche perle

Bob Dylan
Bob Dylan
di Federico Vacalebre
Martedì 6 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:34
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L’uomo più premiato della terra (Nobel, Oscar, Pulitzer e chi più ne ha più ne metta, gli mancano solo le Olimpiadi e la coppa del nonno) resta l’artista più imprevedibile del cosmo. Che, mentre se ne va in giro con un tour, in arrivo anche in Italia, in cui propone praticamente solo il suo ultimo album, l’emozionante e salmodiante «Rough and rowdy ways», fa uscire praticamente a sorpresa un nuovo album, colonna sonora di un live streaming di due anni fa, che poi così live forse non era, per rileggere le sue prime canzoni, quelle che il pubblico ormai non osa nemmeno più chiedergli.

Sì, Bob Dylan è tornato, ammesso sia mai andato via, impegnato com’è nel battere ogni record di permanenza sul palco con il suo «Neverending tour».

C’è un nuovo disco per dylaniani dylaniati, per gli esegeti dell’uomo che mise l’arte nel jukebox, per il camaleonte del rock.

Ed è un nuovo vecchio disco, con del miele ad addolcire le ballate scartavetranti, come un sole al tramonto che sa che lascerà il posto alla luna, alla notte, che forse non è nemmeno convinto di sorgere di nuovo, ma sa ancora fare il suo mestiere, rubarci lo stupore e il cuore. Con una voce sempre più piena di rospi e rimpianti eppure intelleggibile come mai, a farti capire le parole, che sembrerebbero davvero quelle originali, sorpresa nella sorpresa, ma serviranno altri ascolti per dirlo con sicurezza. Con il suono che torna folk,  ma non aspro e necessario come fu agli esordi, che torna blues ma non urticante come fu agli esordi. 

Nessuna resa, nessuna pacificazione nel suono di chitarra, contrabbasso e fisarmonica, però: l’ottantaduenne uomo di Duluth continua a confondere le acque, a se stesso e a noi che continuiamo a chiedergli - se non dove andrà il vento, che ormai ci siamo persi come le risposte - almeno dove andremo noi seguendo lui. 

Nelle riprese di Alma Har’el, in un bianco e nero fantasmatico, si agitavano finti suonatori con le mascherine da pandemia in un locale d’altri tempi vissuto svogliatamente da qualche avventore. In realtà a suonare sarebbero giganti come T-Bone Burnett (chitarra), Don Was (contrabbasso) e Greg Leisz (mandolino, pedal steel), anche se Sua Bobbità non ce lo dice, anzi non ci dice proprio niente.

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Nemmeno perché, impegnato com’è da decenni a sabotare la propria leggenda, ci conceda l’improvviso balsamo nostalgico di «Tombstone blue», «When I paint my masterpiece», persino di «Forever young» e di «It’s all over now, baby blues». Qualcosa di più recente c’è, come «What was it you wanted» che era su «Oh mercy», del 1989, «appena» 34 anni fa.
Se la voce delle versioni originali di questi brani era quella tagliente di un ribelle senza pausa oggi è diventata il tiepido gorgoglio di un ribelle senza causa, se non la propria. 

Quello che apparve in rete il 18 luglio 2021, si rivela di una tenera bellezza all’ascolto non distratto dalle immagini, all’attenzione non spostata dal cercare di riconoscere in un ghigno, in un toccarsi la fronte, in un ammiccare alla camera chissà quale significato.

Oh, c’è anche l’armonica, Robert Allen Zimmerman assomiglia - ma quando mai! - a quello che in molti lo vorrebbero condannare ad essere, la fotocopia del proprio mito, eppure anche qui quel mito è, se non rivoluzionato, quantomeno riformato, con il melanconico appeal di chi confessa di aver vissuto e continua a raccontare storie. Non saranno omeriche come dissero quelli del Nobel, non saranno bibliche come pure qualche citazione fa pensare, di sicuro sono dylaniane, dylaniate, dylanianti.

C’è uno strumentale inedito, alla fine, «Sierra’s theme». E, sì, c’è un’inedita, straniante, premonitrice, sensazione di quiete. Quiete dopo la tempesta. Quiete prima della tempesta. Forse persino quiete durante la tempesta. 
Insomma il gioco è quello di (ri)ascoltare le sue «early songs», le sue prime canzoni, prima di (ri)sentire le più recenti: sfumata, ancora una volta, la possibilità di vedere e sentire Sua Bobbità tra gli scavi di Pompei, ci consoleremo a Milano il 3 e 4 luglio (Arcimboldi), il 6 a Lucca, il 7 a Perugia, il 9 a Roma (auditorium parco della musica). Probabilmente non una canzone del disco sarà nella scaletta dei concerti. Molto probabilmente. Ma mai dire mai con quel tipo là. 

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