Bob Dylan, ancora una nuova canzone tra Whitman e i Rolling Stones

Bob Dylan 2020
Bob Dylan 2020
di Federico Vacalebre
Venerdì 17 Aprile 2020, 09:47 - Ultimo agg. 21:35
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Due settimane dopo - «Murder must foul» era uscita venerdì 27 marzo e durava oltre 17 minuti -  ti svegli e in rete c'è un'altra nuova canzone di Bob Dylan, «I contain multitudes», appena quattro minuti e mezzo e rotti. Forse però non è una nuova canzone, ma la stessa che continua, con la chitarra al posto del pianoforte e la voce di sua Bobbità, il Nobel del rock, l'uomo che mise la poesia nel juke-box e la restituì alle nostre vite, che continua ad attraversare salmodiante la storia dell'America in cui vive recluso come tutti noi, questa volta partendo non più dall'omicidio di JFK ma dal Walt Whitman di «Leaves of grass» («Foglie d'erba»), siamo alla sezione 51 di «Song of myself» («Canto di me stesso»).



«Oggi, domani e anche ieri/ i fiori stanno morendo come tutte le cose» è l'incipit del nuovo salmodiare pallido e assorto del cantautore tornato per dirci, col poeta: «Io ho molte sfaccettature». E ce lo dice oggi, in questo periodo di clausura forzata, porgendoci come balsamo sulle nostre ferite comuni schegge delle nostre vite, pillole che abbiamo già usato tutti insieme per curarci: «All the young dudes» dei Mott the Hoople (scritta da David Bowie), l’Edgar Allan Poe di «Il cuore rivelatore», i preludi di Chopin e le sonate di Beethoven, i versi dell'irlandese Anthony Raftery, il Warren Smith di  «Red Cadillac and a black mustache». 

L'Uomo che contiene Multitudini in se stesso si presenta così: «Sono come Anna Frank e Indiana Jones, e quei cattivi ragazzi inglesi, i Rolling Stones». Uno, nessuno e centomila, il Camaleonte del rock fa un estremo esercizio di verità nel presentare le sue/nostre contraddizioni. Mai, se non nel centone sinatriano, la sua voce era stata così chiara e leggibile. Si ricorda pittore («dipingo paesaggi e dipingo nudi»), confessa di aver vissuto come «un uomo di contraddizioni»: «Mi spingo fino al limite, vado fino in fondo/ vado proprio dove tutte le cose perse vengono rimesse a posto/ canto le "Canzoni dell’esperienza" come William Blake», e non sarà un caso che spunti un altro immenso poeta, e che siano le canzoni dell'esperienza e non quelle dell'innocenza. Quale innocenza ci sarebbe mai concessa, ancora? Quale innocenza abbiamo mai conosciuto davvero?

«Ingordo vecchio lupo, ti mostrerò il mio cuore/ ma non del tutto, solo la parte odiosa/ Ti venderò lungo il fiume, metterò una taglia sulla tua testa»: forse c'è ancora una donna a cui parlare, con cui parlare, di cui parlare, o forse siamo tutti noi a cui l'ingordo vecchio lupo si rivolge, o forse è un dialogo con se stesso: «Cosa posso dirti di più?/ Dormo con la vita e la morte nello stesso letto. /Perdersi, signora, alzati dal mio ginocchio/ tieni la bocca lontana da me/ Lascio la strada aperta, la strada nella mia mente/ farò in modo che non ci sia più amore».

Una conclusione drammatica da un uomo spaventato dal Covid-19? No, solo una delle tante conclusioni possibili, una delle tante sfaccettature possibili. E ora noi, dylaniani dylaniati inizieremo a svegliarci ogni mattina più presto, per vedere se ci saranno nuove canzoni del bardo in clausura, se, saranno lunghe o brevi, se, come queste note di chitarra, ci riporteranno alle Canzoni della speranza, quando i tempi potevano ancora cambiare: in meglio.
 

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