Claudio Baglioni al teatro San Carlo di Napoli: «Papà mi voleva pugile, la musica è il mio ring»

Claudio Baglioni al teatro San Carlo di Napoli: «Papà mi voleva pugile, la musica è il mio ring»
di Andrea Spinelli
Domenica 15 Maggio 2022, 09:00
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Biglietti venduti sino a mille euro (prezzi del bagarinaggio elettronico, che non si riesce a fermare) per il ritorno di Claudio Baglioni domani sera al San Carlo: ufficialmente per il sold out della settantunesima ed ultima data del «Dodici note solo tour» sono bastati 6 minuti. 

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Poi se ne andrà in giro con la grande orchestra, ma ripartiamo dal suo «piano solo».
«Avevo messo in piedi un tour nei teatri di tradizione simile a questo nel 2000, poi nella decade successiva. Stavolta, per viaggiare nei suoni e nei tempi, userò anche il piano elettrico e la clavinova»

Passa di progetto in progetto, Baglioni.
«A 20 anni hai tutta la vita davanti, pause comprese, quando ne hai uno o due in più l'assenza dai palchi, dal microfono, dal pubblico, pesa».

Così si ritrova a mettere in piedi una scaletta attingendo a un repertorio sterminato.
«Alcune canzoni hanno il passaporto del tempo, altre non potrebbero essere state scritte oggi.

Ma in questo tour ogni sera è dura fare la scaletta, anche se tiro lungo. Da una parte ci sono i pezzi cardinali, quelli più popolari, quelli entrati nella memoria collettiva, dall'altra la voglia di frequentare un repertorio meno consueto».

Suo padre Riccardo l'avrebbe voluta pugile.
«Nonostante i 50 e passa anni di carriera, ogni sera mi sembra di raccogliere una nuova sfida. Questo perché sul palco si lotta, si combatte col proprio successo e con l'obbligo di non deludere, cercando di non diventare la parodia di sé stessi perché per un suonatore finire suonato è la peggiore delle vergogne».

A mamma Silvia, da adolescente «quattrocchi e mezzo naso» disse invece di aver sentito la voce, la «chiamata»: pensava al seminario.
«Per anni ho immaginato che a fine carriera mi sarei ritirato dalle scene ma anche dalla vita di tutti i giorni. Una visione su cui pesava, credo, la solitudine del figlio unico, dei lunghi pomeriggi solo a casa senza un fratello o una sorella con cui parlare, giocare, accapigliarmi. Alla fine, però, non sono diventato né pugile, né monaco. E non saprò mai che cosa significhi diventare adulti con un fratello accanto. Alla domanda perché fossi figlio unico, mamma rispondeva sempre che i bambini si comprano e noi non avevamo abbastanza soldi per farlo. Così mettevo da parte i miei magri risparmi per contribuire all'acquisto di un fratellino o di una sorellina, ma ogni volta che mi presentavo con le mani piene di monete lei diceva che i bambini erano rincarati e quei soldi non bastavano».

320-330 canzoni scritte: fiero di tutte?
«Non tutte sono capolavori: penso a Quando tu mi baci del '69, quasi un tentativo cabarettistico di canzone».

L'inizio fu così così.
«Quando ho suonato al Petruzzelli di Bari, davanti a tre standing ovation, mi sono ricordato di quando, proprio lì, partecipai senza fortuna al mio secondo concorso canoro la Caravella dei successi: Notte di Natale arrivò ultima, ripetendo il piazzamento della settimana prima, con la stessa canzone, alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia: dove pensai di buttarmi nel canale».

In Rca era rivale di De Gregori, Cocciante, Venditti, Dalla. E ora?
«Ancora: amicizie e frequentazioni non eliminano la competizione, o la mia invidia per canzoni che tanto avrei voluto scrivere io, conquistato dalle intuizioni e l'ermetismo poetico dei primi dischi di Francesco, dalla grande capacità melodica di Antonello. Con De Gregori, Venditti, Cocciante e Dalla, per reagire allo sfruttamento della multinazionale con cui incidevamo, decidemmo di fondare una nostra etichetta che avrebbe dovuto evocare la nascita di una nuova era fin dal nome Uovo Rotto. Ma il produttore Ennio Melis, al tempo patron della Rca, lo venne a sapere e riuscì a metterci uno contro l'altro facendo naufragare il tentativo in soli tre giorni».

«Questo piccolo grande amore» rimane la sua canzone, ma sul retro c'era un Baglioni in odore di lotta di classe.
«È vero: Caro padrone. Un mese dopo, però, i miei discografici ristamparono il 45 giri sostituendo il pezzo con Porta Portese. Il tempo del mio sogno rivoluzionario era finito».

Dopo «In questa storia che è la mia» cederebbe le sue canzoni per una produzione teatrale?
«Sì, quello del musical è il mio sogno nel cassetto, molti dei miei spettacoli degli ultimi 15-20 anni, con la loro somma di linguaggi espressivi diversi, sembrano prove tecniche di commedia musicale. E furono pensati come musica lp di successo come Questo piccolo grande amore, Gira che ti rigira amore bello, E tu, che era modellato sulla figura di un Ulisse moderno, un avventuriero solitario alla Corto Maltese: confrontandomi con Vangelis, arrangiatore del disco, mi resi conto che sarebbe stato un lavoro arduo e trasformai quei temi in canzoni». 

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