Cohen, l'album inedito: «Papà ha voluto che lo finissi io»

Cohen, l'album inedito: «Papà ha voluto che lo finissi io»
di Federico Vacalebre
Mercoledì 20 Novembre 2019, 06:31 - Ultimo agg. 08:03
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È insieme balsamo sulle ferite e pugnalata che le riapre l'ascolto di «Thanks for the dance», quindicesimo album di Leonard Cohen, il primo e l'ultimo postumo. «You want it darker» uscì un mese prima della sua morte (il 7 novembre 2016), ultimato da suo figlio Adam: il cuore malandato del canadese errante lo aveva obbligato al riposo. Era un disco d'addio, d'amore sacro più che profano, parlava di Dio e di commiato. Il tono profondo, ultimativo, cozzava con altre canzoni scritte dall'uomo di «Suzanne» come lascito estremo: «Erano più romantiche e gentili, non avevano la stessa gravità e oscurità», racconta Adam Cohen che ha completato come in un rito di separazione forzata anche questo disco, in uscita il 22 novembre: «Quando un grande artista muore si cerca ogni minimo frammento, scarabocchio da svendere al pubblico, non in questo caso, non ci sarà nient'altro».

Così vicino, così lontano, il canadese errante torna a cantarci l'amore che diamo, che perdiamo, che non sappiamo più nutrire. La voce è provata, profonda, persino più del solito, consapevole di essere all'ultima tornata. Sette mesi dopo la scomparsa del genitore, Adam si è ritirato nel garage nel cortile della casa paterna e cullato da quella voce, disperato per quella voce, ha completato il disco: «Chi ha perso i genitori può capirmi», spiega. «Volevo stare ancora con mio padre. Lo vedo nei miei sogni e non sono confortanti. È come se il mondo credesse che Leonard Cohen fosse morto ma io sapessi che non è vero. Stare con lui è così, la sua voce ti copre, densa e calda, come una coperta».

Adam, 47 anni, ha mantenuto la promessa fatta a papà: «Toccherà a te finire quel che abbiamo iniziato», gli aveva detto annunciandogli l'estrema eredità. La voce, profonda, di carne e velluto, sospesa tra inferno e paradiso, tra orgia e preghiera, era lì, solitaria, in quelle registrazioni. Sapeva di essere alla fine del viaggio, Leonard, ed aveva scelto di salutare i suoi cari, ma anche chi lo aveva amato senza conoscerlo: «Sono pronto, mio Signore», aveva cantato in «You want it darker». Ora le canzoni di «Thanks for the dance» sono qui per quelli che non erano pronti, che non sono pronti a fare a meno di lui. Eccolo il balsamo sulle ferite, eccola la pugnalata che le riapre, grazie anche alla collaborazione di tanti coheniani vecchi e nuovi: Javier Mas, Damien Rice, Leslie Feist, Richard Reed Parry degli Arcade Fire, Bryce Dessner dei National, Silvia Pérez Cruz, Daniel Lanois, Beck, Jennifer Warnes, il coro Shaar Hashomayim. Le sonorità sono fedeli allo stile di sempre: chitarre gentili che sanno della Spagna di Lorca, echi della Grecia amatissima, momenti più marziali e ieratici, cori femminili a ricordare il vero sesso forte, nessun tentativo modernista. «Non avevo nulla, solo le parti vocali, i testi. Velocemente abbiamo creato la musica, ci è venuto spontaneo riutilizzare delle tecniche musicali che negli anni hanno contraddistinto mio padre. Mi sembrava di chiacchierare costantemente con lui, di chiedergli la sua». Fedele al suono di sempre, Leonard torna a cantare la passione della carne, l'amore per le donne («The night of Santiago» racconta l'incontro con una tipa che si dice vergine, anche se gli altri dicono ben altro, ed hanno ragione) che per lui non era poi così distante da quello per Dio. La title track la conoscevamo già nella versione di Anjani Thomas, ma qui è saluto estremo e ringraziamento a tutte quelle/i che hanno danzato con Leonard. La conclusiva «Listen to the hummingbird» è il salmodiante commiato di un uomo che confessa di aver vissuto, versi limati per anni e recitati qualche volta anche dal vivo, ma mai diventati canzone, forse neanche adesso: sono le ultime parole che sentiremo da lui.

A completare il lungo addio, è appena uscito La fiamma (Bompiani, pagine 298, euro 24), traduzioni (di Luca Manini) di poesie e canzoni scelte dai famosi quaderni in cui limava per anni parole e versi. «Lavoravo sempre con rigore / ma non la chiamavo arte», dice nell'incipit di «Happens to the heart», che è anche la canzone che apre il disco. Grazie a te per le danze e la fiamma, maestro Leonard, per il rigore e l'arte.

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