Delizia Coma_Cose:
«Nost(r)algia canaglia)

COMA_COSE
COMA_COSE
di Federico Vacalebre
Domenica 18 Aprile 2021, 23:26 - Ultimo agg. 6 Maggio, 16:31
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«A noi ci importa dell’amore e, fondamentalmente, di altre duemila cose di cui non ci importa niente. Difficile distinguere i difetti dai pregi, non ci vogliamo estinguere come i rinoceronti o i pacchetti da dieci». Dimenticate «Fiamme negli occhi», bella ma sanremese quanto serviva per far debuttare i Coma_Cose a Sanremo. «Nostralgia», nuovo album che ha la sola pecca di essere troppo breve («ma non volevamo sbrodolare e inseguivamo la sintesi, siamo vintage anche in questo»), ha il suono della nost(r)algia canaglia «per gli anni Novanta, per un mondo che non c’è più, a cui la pandemia ha dato solo l’ultima botta di cancellino», dicono all’unisono California (Francesca Mesiano) e Mauro Lama (in realtà Fausto Zanardelli). 

«Siamo le discoteche abbandonate, scheletri di cattedrali abbandonate» cantano e sembra la fotografia riuscitissima di un tempo che ci sembra lontano, lontanissimo: «Chiusi in casa dal coronavirus ci concedevamo lunghe passeggiate sognando di viaggiare.

A due passi c’era davvero una discoteca abbandonata da decenni ormai, le sue macerie sono le nostre, le sue rovine sono le nostre, memorie di un tempo in cui ci sentivamo liberi di ammassarci in luoghi così poco sicuri da essere la cornice preferita della nostra vita spericolatissima, delle nostre esagerazioni». Come in un electropop aggiornato al tempo del suono indie, California detta la trama di una storia da archeologia edonista, ma non perdonista, ci scappa persino un riferimento al «berlusconismo interstellare». Perché, ridicono i due in coro, «è vero che più di Silvio bisognava temere il Berlusconi in noi, ed è vero anche, e lo cantiamo, che siamo figli dei nostri errori, e questo errore è perdonare tutto».

Ad ascoltare le delizie di «Mille tempeste», di «La canzone dei lupi» («Questo troppo di tutto toglie il gusto anche ai sogni»), di «Novantasei» (il brano più rock, con il ricordo dei concerti dei Nirvana in Brianza) ci si chiede se la scelta del brano più orecchiabile per il Festival sia stata giusta: «È vero, potevamo optare per un pezzo più di “sostanza” ma non volevamo fare quelli snob che vanno all’Ariston per mirare al premio della critica. Preferivamo essere canzonetta tra le canzonette». «Musica leggerissima», per dirla con Colapesce-Dimartino, che la coppia, nell’arte e nella vita, sa però riempire di cose, di emozioni, di immagini forti, di parole che non sono vuoto a perdere. Si prenda «Zombie al Carrefour»: «Dentro solo anziani e spacciatori e muratori in sosta... Ho sentito soltanto il bisogno di fare qualcosa di buono, qualcosa di normale, pur di non ritornare a casa dove vivono i sensi di colpa, ho preferito lasciarli da soli, come si fa con i genitori quando si cresce, per poi trovarsi alle cinque tra gli zombie al Carrefour».

Feroce, davvero, e generazionale: «Ma feroce è il mondo, la vita, il virus, le canzoni che ci piacciono, ci fanno ridere, piangere, ballare, innamorare». Cali e Mauro si smarcano, sanno raccontare l’amore attraverso le piccole cose, ma anche il disamore. E se gli chiedi quanto gli manca il fronte del palco, evitano la retorica dei colleghi: «Più di un nostro concerto ci manca andare a un concerto». E Amadeus? E il successo festivaliero che li ha presentati al grande pubblico? «Dopo la versione Sad, Sanremo a distanza, ce ne piacerebbe una vera, caotica. Ci siamo immaginati l’Ariston come una bolgia e abbiamo trovato il luogo più disinfettato d’Italia». Nessun problema nemmeno ad essere paragonati a Al Bano e Romina Power, a proposito di «Nost(r)algia canaglia»: «Magari avere una carriera longeva come la loro». Anche la disputa sulla purezza indie perduta li lascia indifferenti, mentre cantano di solitudine, di periferie, di autoanalisi, della sospensione in cui galleggiamo tutti, cercando di accorgerci in tempo di chi sta rischiando di annegare: «Abbiamo l’ambizione di fare canzoni che sappiano usare le parole, che tengano insieme l’emozione e il prodotto letterario. Proviamo ad essere liberi, a restare liberi, fedeli almeno a noi stessi. Ma indie o non indie è polemica scema. E, poi, oggi con le piattaforme siamo tutti sullo stesso piano».

I Coma_Cose hanno «Fiamme negli occhi», certo, e ti guardano consapevoli di vivere un momento speciale. Ma le loro canzoni, peccato davvero siano solo sei, hanno fiamme dentro, nella voce, nei suoni, nei versi, nel bi-sogno di viverle.

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