I Pink Floyd: «Con il concerto a Pompei reagimmo a Woodstock»

I Pink Floyd: «Con il concerto a Pompei reagimmo a Woodstock»
di Andrea Spinelli
Mercoledì 17 Gennaio 2018, 10:21 - Ultimo agg. 10:30
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Quello di creare la musica del futuro è la scintilla che ha appiccato il fuoco all'epopea altamente infiammabile di «Astronomy domine». E la mostra «The Pink Floyd: their mortal remains», al via da venerdì al Macro di Roma, è la testimonianza fisica di questo incendio. L'evento che nella prima parte di 2017 ha richiamato al Victoria & Albert Museum di Londra quattrocentomila fans e che ora approda a Roma fino all'1 luglio nella prima tappa di qua dalla Manica del suo cammino. Il Macro si trova a meno di un chilometro da quel Piper dove la band nel '68 tenne i suoi primi due concerti italiani e a poche centinaia di metri dal cinema Mignon, luogo deputato alla prima proiezione del celeberrimo «Pink Floyd at Pompeii».

E ieri Nick Mason e Roger Waters, ovvero i due terzi della formazione superstite, sono piovuti al Macro per presentare personalmente questo «viaggio emozionale» nella loro storia attraverso suoni, filmati e ben 350 oggetti-reliquia. Mason della mostra è consulente, Waters l'ha visitata per la prima volta l'altro ieri, pur avendo partecipato alla conferenza stampa di quella londinese. Al Macro c'era pure il sindaco capitolino Virginia Raggi che non ha mancato di ricordare come l'esposizione non rappresenti una semplice racconto audiovisivo, ma la celebrazione di quattro miti che hanno creato un mondo. Il loro.

«Da tempo ne parlavano, ma indubbiamente il successo delle iniziative analoghe su Bowie e gli Stones hanno accelerato i tempi» ammette Mason, ricordando i contatti con il produttore Michael Cohl. Ideata originariamente da Storm Thorgerson, creatore delle leggendarie copertine della band, e sviluppata dal suo sudio, l'altrettanto celebrato Hipgnosis, con la stretta supervisione dello stesso Mason. Gli allestimenti sono invece dello studio Stufish, quello dell'indimenticato Mark Fisher l'«architetto del rock» a cui la band deve i suoi sorprendenti palchi. Rispetto alla versione del Victoria & Albert Museum, la mostra focalizza di più i trascorsi italiani dei Pink Floyd e in particolare l'esordio al Piper, la collaborazione con Michelangelo Antonioni in «Zabriskie Point», quella reazione elitaria e un po' snob ai 450.000 di Woodstock che fu il concerto nel teatro antico di Pompei completamente vuoto, e, naturalmente, il concerto sull'acqua del 1989 nel Bacino di San Marco.
 
«La mostra spiega come lavoravamo, com'è nata la nostra musica, com'è cambiata e come cambierà nel tempo», spiega ancora Mason. «Se torniamo al 1970 troviamo in Echoes una frase che dice tu sei me e io sono te», spiega Waters. «L'homo sapiens, la razza umana viene tutta dallo stesso posto, quindi siamo tutti un po' africani. Quel verso mette in luce la mia ossessione: entrare in empatia con gli altri esseri umani. Pure il titolo del mio ultimo album, che tradotto suona È questa la vita che volete vivere?, si porta dietro la risposta: no. Io abito in America e l'idea che una buona parte delle tasse che pago serva a bombardare popolazioni inermi, o venga usata per altri fini bassissimi, m'inquieta. La società sta degradando verso un post-fascismo e noi non possiamo continuare ad assecondare questa deriva. Ma la gente sta acquisendo consapevolezza e se la smettessimo di farci i selfie alle feste di compleanno e iniziassimo a prendere coscienza di quello che accade nel mondo andremmo verso un futuro migliore».

Anche se poi il bassista inglese, che tornerà in Italia a primavera per due concerti a Milano e quattro a Bologna (già completamente sold-out) e altri due estivi alle Mura Antiche di Lucca (l'11 luglio) e al Circo Massimo di Roma (il 14), prende distanza dal passato con Mason, Gilmour e Wright evocato da «The Pink Floyd: their mortal remains» definendolo «un viaggio emozionale di un periodo abbastanza breve della mia vita».

Nel salone del Macro, proprio sopra il tavolo degli ospiti, troneggia uno degli enormi pupazzi gonfiabili usati durante il tour di «Animals». «Quella tournée del 1977 per noi è stata fondamentale perché per la prima volta abbiamo cominciato ad avere un approccio spettacolare», ricorda Nick.
 
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