I Cugini di Campagna a Sanremo 2023: «Noi, i primi con zeppe e brillantini»

«Pensai fosse finita. Ma dopo essermi svegliato dal coma ho capito che non volevo fermarmi. Voglio morire con i brillantini e le zeppe»

I Cugini di Campagna a Sanremo
I Cugini di Campagna a Sanremo
di Federico Vacalebre
Lunedì 30 Gennaio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:00
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È la loro prima volta a Sanremo dopo 53 anni ma, quasi quasi, hanno più voglia di cantare nella serata delle cover che di affrontare la gara con quella «Lettera 22» che La Rappresentante di Lista ha scritto per loro. «In gara saremo quelli di sempre, sia pur in versione rinnovata: con le zeppe, le voci in falsetto, i capelli che per fortuna non ci sono caduti», spiega un incontenibile Ivano «Poppi» Michetti, autore e chitarrista del gruppo, «ma nella quarta manche... saremo più Cugini di Campagna che mai».

Perché per la semifinale del 10 febbraio avete scelto «Anima mia», da dividere con Paolo Vallesi.
«Non possiamo dire niente, peccato solo che i Maneskin siano ospiti il giovedì, altrimenti avremmo potuto fare insieme Anima mia e Zitti e buoni.

Noi siamo davvero i loro predecessori: chitarre elettriche, vestiti strani, se non ci hanno copiati hanno saputo ben ispirarsi a noi. Loro hanno iniziato da via del Corso. Noi dalla fontana di Trevi, dove io da ragazzino andavo a raccogliere le monetine lanciate dai turisti».

Beh, lo spoiler è chiaro, ma torniamo a Sanremo.
«Negli anni 70 la manifestazione era in declino e noi, dopo il 1973 in cui esplose Anima mia avevamo ben altro da fare. Poi quando il Festival ha riconquistato credibilità eravamo noi ad essere defilati. Nel '98 sembrava fatta, avevamo musicato delle parole di Giovanni Paolo II, il pezzo si intitolava La nostra terra, ma in Rai ebbero paura: poteva vincere una canzone del Papa? Poteva perdere? Togliemmo le castagne dal fuoco a tutti e ritirammo la nostra candidatura».

Sabato, giorno della finalissima, tu e tuo fratello gemello Silvano, batterista, compirete 76 anni. Il vostro primo gruppo si chiamava i Medium, era gotico, vestivate di nero cantavate di morte e dark lady, vi faceste fotografare al cimitero romano del Verano.
«Io e Silvano veniamo dal coro di voci bianche della Cappella Sistina, abbiamo imparato il miracolo vocale da bambini. I Medium, per un po' ci siamo chiamati anche La Fine del Mondo, erano un esperimento confuso, avevamo titoli come Maledetta tu e Il peccato. Volevamo fare musica, e capire come era difficile. Tendemmo un agguato canoro al ristorante ad Arbore e Boncompagni e li convincemmo a scommettere su di noi, Bruno Zambrini e Gianni Meccia ci ribattezzarono e ci trovarono quel brano, che divenne sigla di Alto gradimento, il programma radiofonico più ascoltato dai ragazzi».

Il testo non era proprio un capolavoro: «Zumpa zumpa zumpa... ancora... zumpa zumpa zumpa».
«Si, e noi volevamo fare pezzi nostri. Già era strano essere passati da band rock a complesso agricolo. Mio padre ci ascoltò cantare L'asino di Mario Marenco, un altro non capolavoro, e mi disse: O conti, o canti, decidi tu. Avrei potuto contare i blocchi di tufo per le costruzioni con lui, ma io volevo cantare. E dovevo trovare la canzone adatta. Che mi venne in sogno, solo che al risveglio non la ricordavo più. Sperai mi tornasse in sogno, lasciai un taccuino e una penna sul comodino. Mi tornò in sogno e, appena sveglio, scrissi tutto quello che ricordavo. Anima mia era venuta a trovarmi, con quella facciamo ancora 100-120 concerti l'anno, anche all'estero, ma non lontano: viaggiare per arrivare in Australia ci porterebbe via una settimana, e quindi molte date».

Una carriera in una canzone, o quasi.
«Sì, oltre a Claudio Baglioni nell'omonimo show di Raiuno del 1997, l'hanno cantata Dalida in francese, Frida degli Abba in svedese, Perry Como in inglese...».

Che cosa aveva di vincente?
«La melodia, le nostre voci insieme, il nostro look inaudito per l'epoca: i vestiti con i lustrini e le sete shantung dai colori sgargianti ispirati dai dipinti nella Cappella Sistina, i capelli lunghi, le scarpe con le zeppe da donna per essere tutti alti uguali. Per far passare quel brano la prima volta in Rai dovetti aggiungere una voce di donna, non avevo avuto il coraggio di dire la verità al funzionario che aveva accettato di trasmetterci che quelle voci angeliche erano di quattro omaccioni: si chiamava Bruno Voglino».

Veniamo a «Lettera 22»?
«Per me era una macchina da scrivere, per La Rappresentante di Lista è la ventiduesima lettera dell'alfabeto, quella che non c'è. È la canzone che non ti aspetti dai Cugini di Campagna, parla di un bambino che non sa contare, di un dottore che si è fatto male, di un palazzo in costruzione che cade. Di amore, comunque».

E dopo Sanremo? Cosa farete tu, Silvano, Tiziano Leonardi e Daniel Colangeli?
«Andremo in tour con Anima mia e Lettera 22, naturalmente».

Due anni fa eri stato colpito da un ictus.
«Pensai fosse finita. Ma dopo essermi svegliato dal coma ho capito che non volevo fermarmi. Voglio morire con i brillantini e le zeppe». 

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