Sepe, il ritorno di capitan Capitone tra pirati, suoni del mondo e bambini

Daniele Sepe
Daniele Sepe
di Federico Vacalebre
Domenica 26 Gennaio 2020, 18:24 - Ultimo agg. 18:32
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Ancora una volta autoprodotto, come l’intera sua discografia, «Le nuove avventure di capitan Capitone», è il terzo episodio della saga piratesca di Daniele Sepe, dopo l’iniziale «Capitan Capitone e i fratelli della costa» ed il successivo «Capitan Capitone e i parenti della sposa» del 2017. L’incipit, con la ciurma corsara che si impossessa del tema scoppiettante dell’«Armata Brancaleone» conferma il tono dell’intero canzoniere sepiano, insieme militante & goliardico, anarcocomunista & scapocchione, ma serve ascoltare la successiva «Cazzimao» per capire la declinazione particolare di questo album, in uscita ad inizio febbraio: la versione della filastrocca, già incisa dal nostro capitan sax e arrivata a noi grazie al grande Milton Nascimento, torna ad essere una canzone per bambini, divisa con un coro di bambini: «Con il primo disco del Capitone mi sono ritrovato una chiorma di piccini ai miei concerti», racconta Sepe, «magari anche vestiti da pirati. Così ho deciso di suonare consapevolmente per loro, con loro, raccontando in termini che possano comprendere, come una favola marina, la lotta tra buoni e cattivi, padroni e proletari, pesci grandi e pesci piccoli. L’infanzia è il futuro del mondo, noi l’abbiamo conciato decisamente male. E, poi, credo che sia più facile farmi ascoltare da loro che dalla generazione spritz & rivoluzione, ormai più dedito al primo che alla seconda».
Inciso con la complicità di decine di musicisti, compresi Hamid Drake, Stefano Bollani, Valentina Cenni, Mario Insenga, Mimì Caravano, Fabio Celenza, Simona Boo e mezzo panorama newpolitano, il disco si diverte a cambiare suono e clima ad ogni canzone: «Abu Tabela» è un rap affidato a ShaOne, ma anche la storia - deandreiana verrebbe da dire - di Paolo Crescenzo Martino Avitabile da Agerola, passato dalle fila dell’esercito di Murat al rango di generale dell’esercito sikh di Ranjit Singh.
«Bailecito travesterino» fa incrociare Gabriella Ferri e Mercedes Sosa nella voce di Lavinia Mancusi, «Il corpo morto» è l’ennesimo omaggio a Zappa, «Marenare» porta a Napoli un’antica canzone di pirati, «Le grand courier». Tra i suoni del mondo spunta il blues con «Chesta è a vita mia», «Se tu sei il mio vero amore» traduce - con coro di bimbi - il portoghese Vitorino, «Lapo & Gonzalo» riscrive «’A livella» come un dialogo latinoamericano tra un gabbiano ricco e radical chic e uno povero, e quindi ben poco chic. Anche «’O guardio» è solo apparentemente frivola, visto che partendo dalla storia di Davide Bifolco racconta come in una canzone postmelodica gli abusi del potere e il monopolio di Stato sull’alcool, vera piaga sociale giovanile. «Uagliun & uagliole» riadatta un testo popolare molisano sul tempo dispari di una antica danza albanese, la «valija», mentre «Zingari» ricorda le origini rom di divi come Elvis Presley e Charlie Chaplin e Antonio Banderas. Non manca la musica antica («Ondas do mare de Vigo», «Cominciamento di gioia»), né una nuova favoletta per pargoli («Dino pesciolino fino»), un altro tributo al Brasile di Pixinguinha e di Hermeto Pascoal («Core ‘e pappavalle») e nemmeno la parodia trap dell’amore al tempo dei social («Romeo e Giulietta 2.0»). Ma il colpo di scena arriva con il country di «Il trombettiere di Custer», altra storia ignorata dalla Storia ufficiale, quella dell’emigrante di Sala Consilina che si trovò a Little Big Horn. L’ironia è caustica, il tentativo di tenere alta la bandiera di un suono in direzione ostinata e contraria, ma non per questo punitivo, noioso, letargico è evidente. E la sfida è, ancora una volta, vinta.
«In fondo», sintetizza Sepe, «questo è il proseguimento del mio lavoro con la Brigada Internazionale, è il lavoro di un Salgari sonico, che viaggia solo entro la portata della sua motocicletta: 150-200 km, tanti dischi, tanti libri, le vite raccontate dalle persone incontrate e poi approfondite per saperne di più».

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