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Diodato dopo Sanremo: «Canzoni come fiori fragili e terapia per sopravvivere»

«Ho fiducia nell'umanità, nonostante tutto: il mio è un invito a rimboccarsi le maniche»

Diodato
Diodato
di Federico Vacalebre
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 24 Marzo 2023, 11:00
4 Minuti di Lettura

C'è una banda che si perde nel caos, il gridare dei gabbiani, il «tempo ferito da questo strazio infinito», «una folla illegale di gente che si beve d'un sorso il presente, non sente gli odori, non sente ragioni, non crede più a niente». Prima o poi doveva succedere che qualcuno cantasse davvero i giorni terribili, stranianti, deformanti, che abbiamo attraversato, che speriamo di aver superato. Che lo facesse Diodato forse era inevitabile: la sua vittoria a Sanremo con «Fai rumore» nel 2020 era stato lo spartiacque tra il mondo di prima e il Covid. «Così speciale», album in uscita oggi, fa di nuovo rumore, il rumore di un cuore che non fa finta che nulla sia successo, come molti, anche tra i suoi colleghi.

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«Ci vorrebbe un miracolo ma non so a chi chiederlo, vienimi a salvare, vienici a salvare», canti, Antonio. E parli per tanti, per quell'umanità che si riconosce nella tua definizione: «Siamo tutti calzini spaiati, spaiati, bucati e bagnati, ma convinti che poi siano quegli altri ad essere sbagliati».

«Quella banda nel casino iniziale siamo tutti noi, con sempre più interrogativi e meno punti saldi. Dovevamo uscirne migliori, ma non è stato così, però ce la faremo, grazie anche alla musica: io la uso per capire e capirmi e capirci un po' meglio, o almeno per tentare di farlo. Come catarsi per venirne fuori. Sono dieci canzoni, dieci fiori fragili cresciuti nonostante tutto, come quelli dell'opera di Paolo De Francesco in copertina. Sono parole e note che hanno paura di naufragare, concetto terribilmente attuale, che riconoscono che siamo tutti sulla stessa barca, altra immagine tragicamente contemporanea: non affondano solo i migranti, è la nostra società che affonda con loro».

Video

Anticipato dalla title track, la tua classica ballad pianistica, il disco è balsamo sulle ferite, terapia emozionale che sfocia in suoni inattesi (produce Tommaso Collivà) tra elettronica e post-progressive rock («Che casino»): credi davvero nel potere salvifico della canzone?
«Sì. La musica sublima, esorcizza, amplifica, mi fa crescere, mi spinge a dire e fare cose che altrimenti non sarebbero alla mia portata e che, poi, scopro essere condivise da tanti».

Qualcuno vorrebbe, almeno da te, una testimonianza più schierata. Ed è facile capire da che parte, contro chi.
«Quando organizzo il Primo maggio a Taranto invito anche artisti che non mettono la militanza nelle cose che fanno, ma diventano militanti con la loro presenza. La musica è figlia dei tempi, gli anni 60/'70/'80 hanno scelto temi importanti, oggi quell'impostazione ha lasciato il posto ad altre chiavi di lettura. Io, ad esempio, parlo del mondo intorno a me, ma soprattutto di me».

Insomma, «ci vorrebbe un miracolo» per cambiare le cose, per continuare a lottare per «un altro mondo possibile».
«Da non credente non so a chi chiederlo questo miracolo. Ma ho fiducia nell'umanità, nonostante tutto: il mio è un invito a rimboccarsi le maniche».

La guerra, il dilagare di populismo e nazionalismi egoisti non ti spaventano?
«Sì, ma la soluzione alle estremizzazioni è l'incontro, la comprensione. Provare a capire insieme è alla base del tessuto sociale. Il miracolo è togliersi i paraocchi».

La tua voce, inconfondibile, resta sull'orlo di una crisi di nervi e sollecita reazioni/emozioni che spesso nascondiamo, fingendoci forti. Tu, invece, pratichi l'arte della fragilità confessata.
«Sono innamorato di quel tipo di musica che vibra, il disco è tutto suonato da strumenti veri, alcuni brani sono stati registrati in presa diretta. Accanto alle ballate romantiche ci sono esperimenti come “Che casino”: sono partito da un beat e ho iniziato a cantarci sopra, giocando con le voci. C'è anche un Diodato più cinico e disincantato».

Ma esistono davvero «Occhiali da sole» che possano nasconderci al mondo?
«No, ma è bello far finta che ci siano. Fare il mestiere che faccio vuol dire comprare un biglietto per le montagne russe».

Il tour di «Così speciale» partirà il 15 aprile da Padova, per ora senza date campane. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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