Dream Syndicate: «La psichedelia
spiegata ai ragazzi rap & trap»

Dream Syndicate
Dream Syndicate
di Federico Vacalebre
Venerdì 22 Giugno 2018, 11:12
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Chiedi che cos'era il pasley underground al tempo delle trap. Chiedilo a Steve Wynn, che l'anno scorso, a 29 anni di distanza da «Ghost stories» e dallo scioglimento, ha rimesso insieme i Dream Syndicate per incidere «How did I find myself here?», e con la storica formazione americana arriverà il 29 giugno al conservatorio Cimarosa di Avellino, che apre le porte a un suono che un tempo poteva fare paura ai puristi della musica «colta», ma ormai merita di essere storicizzato, oltre che goduto finché si potrà.
Allora, Steve, come spieghiamo ai ragazzini rap&trap che cos'è stato il movimento che lanciaste nel 1982 con l'ep d'esordio storico «The Dream Syndicate»?
«Più che spiegarglielo, più che fargli sentire i nostri dischi, li porterei a vedere il nostro concerto: possono amare le rime hip hop o la trance elettronica, ma quando si trovano davanti a quello che un quartetto rock combina su un palco... beh... afferrano al volo, si divertono, sudano, ballano e poi tornando a casa vanno a cercare nella collezione del papà».
Nella mia troverebbero il disco di cover «Rainy day» che definì il movimento, con la parola «paisley» rubata ad un motivo decorativo di moda nell'estate dell'amore. Ma anche tutti i vostri dischi, soprattutto «The day of wine and roses», e poi Rain Parade, True West, Opal, persino le Bangles rientravano all'inizio nel filone.
«Eravamo negli anni Ottanta, in classifica impazzava il synth-pop e noi avevamo voglia di ri/sentire il suono psichedelico degli anni 60, filtrato però dalla consapevolezza punk e garage, dal feedback. Tra i Byrds e i Velvet Underground c'era un intero spettro di sonorità a nostra disposizione, con attenzione anche per band che non avevano avuto il grande successo planetario».
Quelle di «Nuggets», ad esempio, seminale serie di cofanetti della Rhino Records.
«Certo. Successe per caso: eravamo convinti di star suonando qualcosa che nessuno suonava, poi scoprimmo gruppi che avevano seguito il nostro stesso percorso. Sapevamo di essere fuori moda, non di stare per fare tendenza».
Successe, anche se restando nell'ambito delle band di culto.
«Ma lo sono rimasti anche Quicksilver Messenger Service, 13th Floor Elevators, Electric Prunes. A proposito dei primi: John Cipollina è il mio chitarrista psichedelico preferito di tutti i tempi, non è mai stato valutato come merita».
Perché rimettersi insieme 29 anni dopo?
«Perché, senza essere nostalgici, era venuto il momento di girare la testa indietro, e riannodare i fili. Dal 2012 abbiamo ripreso i tour e ormai era tempo di sfruttare al meglio l'affiatamento trovato, il sound creato. Insomma, era tempo per il quinto album dei Dream Syndicate, è tornata a casa persino Kendra Smith, la nostra prima bassista, per mettere la voce su un pezzo».
Quale scaletta per Avellino?
«Tutto il disco nuovo, merita di essere scoperto, ma anche tanta bella e vecchia roba: portate i figli innamorati della trap, non vi pentirete».
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