Edoardo Bennato, sberleffi rock al gran ballo della Leopolda

Edoardo Bennato
Edoardo Bennato
di Federico Vacalebre
Martedì 20 Ottobre 2015, 14:59 - Ultimo agg. 27 Ottobre, 13:22
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Nel produrre il nuovo album di Edoardo Bennato, Brando, alias Orazio Grillo, ha ritrovato il piglio da rocker che aveva da ragazzino con i Boppin’ Kids, facendo fare alle chitarre elettriche quel lavoro che nei lavori per Emma e per Nesli non era nemmeno concepibile. «Questo è il miglior rock possibile oggi in Italia», reclama il cantautore flegreo, «e lo dico con cognizione di causa». A 69 anni, Edo può permettersi questo ed altro, soprattutto al lancio di un disco come «Pronti a salpare», iscrivibile nella più tradizionale produzione bennatiana, tra rock'n'roll, sarcasmo mai troppo feroce, riflessioni sociologiche sul genere umano, canzonette ma non solo insomma. Fin dal titolo: «È la storia della Famiglia Umana Matura, quella occidentale, bianca e sazia, o quasi, e della Famiglia Umana Bambina, quella che è pronta a salpare per venire a cercare da noi una vita migliore, nonostante l'accoglienza infernale che trova. Loro salpano fuggendo da guerre, carestia, miserie. Noi dovremmo imparare a salpare verso un mondo che ricomponga le fratture tra Nord e Sud, Primo Mondo e Terzo Mondo, Occidente e Oriente».

Nuovamente seguito da una multinazionale, la Universal, dopo gli anni della polemica con il mercato discografico, il cantautore ha raccolto nel disco il lavoro di diversi anni: «Il titolo è anche uno slogan per leader degni di questa definizione. Un'umanità pronta a salpare è meglio di un'umanità che spara sui barconi, che costruisce nuovi muri. Ma non mi metto a fare il santone rock, vorrei solo che quel nuovo mondo possibile che abbiamo sognato negli anni in cui qualcuno voleva la rivoluzione potesse diventare realtà, non restasse utopia».

C'è un tono nuovo nelle parole di Bennato, e quel tono è un regalo di Gaia, sua figlia, dieci anni e «tanta voglia di crescere bene. Mi ha suggerito alcune immagini, alcune soluzioni, ma, soprattutto, mi regala la nota di speranza nei giorni di disperazione». Per Gaia ci sono versi come «Io vorrei che per te quell'isola che non c'è/ diventasse realtà/ non solo un'isola esclusiva di Peter Pan».

Intorno al menestrello c'è la «famiglia» di sempre: i ragazzi cresciuti nel cortile dei Campi Flegrei che sono diventati la sua crew, il fratello Eugenio («il mio asso nella manica quando i miei testi non filano dritti come vorrei»), nel brano che dà il titolo al disco torna persino il Raffaele di «Venderò», che poi era Cascone, il profeta del rock del Mediterraneo. Lui, intanto, dopo il musical sull'eterno ragazzo, prepara quello sul suo Pinocchio: ai brani di «Burattino senza fili» ha aggiunto diversi pezzi, tra cui «Il mio nome è Lucignolo», inclusa nell'album: «Debutteremo nel febbraio 2016 al Brancaccio di Roma, bisogna solo avere la lucidità di dare un volto contemporaneo ai protagonisti. Lucignolo oggi è un pr, la Fata resterà il simbolo della femminilità, ma gli altri? Il Gatto e la Volpe potrebbero essere la giuria di un talent show, ma Mangiafuoco?».

I brani più grintosi si alternano a quelli più melodici, con sorprese dietro l'angolo, nei momenti più orecchiabili e implacabili come «Povero amore»: «Abbiamo tutti cantato e svenduto l'amore al punto da renderlo quasi incantabile», dice. Ma i versi nascondono una condanna del rito amoroso per antonomasia, il matrimonio: «E nelle sartorie e negli abiti da sposa/ e in quel bianco che va bene su ogni cosa/ e in quel bianco che va bene e copre ogni colore/ e a volte copre anche l'amore», canta Edo, e poi rincara la dose: «Per i parametri della civiltà religiosa nelle nozze in chiesa sta l'apice di un amore, a me sembra solo il culmine di una televendita in cui i sentimenti non contano niente».

Polemica è anche «La calunnia è un venticiello», gioco rossiniano che parla di pentiti («l'allusione al caso Tortora è anche un ricordo personale, da bambini con i miei fratelli ci volle a un suo show, vederlo sbattuto in prima pagina come un mostro mi fece male») e untori («dentro c'è la storia di Mia Martini, ancora oggi la più grande cantante di tutti i tempi, distrutta dalle chiacchiere malevole di un ambiente ignorante»). E «Al gran ballo della Leopolda» con un Pippo (Civati?) e un Matteo (Renzi? ma anche Salvini?) che fanno tanto chiasso perché non cambi nulla.

Poi c'è Napoli, con la ripresa di «La mia città» («Se Renzi, e Del Rio che stimo, vogliono davvero cambiare l'Italia vengano di nascosto nelle nostre periferie insaguinate, capiscano cosa succede e poi agiscano finalmente da statisti») e il gioco numerologico di «A Napoli 55 è 'a musica»: per uno nato in viale Campi Flegrei 55 è un segno del destino.
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