Eduardo De Crescenzo compie 70 anni: «Il tempo non conta quando c'è la musica»

Eduardo De Crescenzo compie 70 anni: «Il tempo non conta quando c'è la musica»
di Federico Vacalebre
Domenica 7 Febbraio 2021, 11:00 - Ultimo agg. 8 Febbraio, 12:46
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Il Sanremo del 1981 fu davvero un festival di rinascita. La Rai tornò a trasmettere tutte le tre serate della gara e rinunciò al previsto intervento comico di Troisi dopo lo scandalo benignesco dell'anno precedente; vinse Alice con «Per Elisa», scritta con Franco Battiato e Giusto Pio, al secondo posto si piazzò Loretta Goggi con «Maledetta primavera»; i Ricchi e Poveri furono quinti con «Sarà perché ti amo»; il presentatore Claudio Cecchetto lanciò come sigla il poi famigerato «Gioca jouer»; Eleonora Vallone sculettò senza mutandine; esordirono Fiorella Mannoia («Caffè nero bollente»), Luca Barbarossa e Eduardo De Crescenzo: la sua «Ancora» non arrivò tra le prime dieci classificate, ma quarant'anni dopo resta uno dei classici della canzone italiana, oltre che uno dei maggiori introiti per diritti Siae. Eduardo, che domani compie 70 anni, la cantò con gli occhi sbarrati sino alla fine del pezzo, in una performance unica per vocalità e intensità di interpretazione. 

Te lo ricordi quel momento, Eduardo?
«Strizzai gli occhi e cantai. Per me in quel momento non esisteva altro al mondo. Era il 5 febbraio, io pensavo solo a dare il massimo, non volevo che i miei genitori vedessero in tv qualcuno diverso dal ragazzo che conoscevano».

È vero che non avevi detto a mamma e papà che andavi a Sanremo?
«Sì, lo scoprirono dalle foto che uscirono su Il Mattino e su Sorrisi e Canzoni: io sono sempre stato un po' timido, diciamo pure ritroso».

Ma sapevi che quella canzone avrebbe cambiato la tua vita?
«Proprio no.

Sapevo che era bella, forse anche che la cantavo benino, ma non avevo sentito nulla degli altri brani in gara, anzi la gara non la vivevo proprio. Ricordo che ti feci sentire il pezzo nelle prove due giorni prima, eri giovane e alle prime armi anche tu, ma la tua faccia quando smisi di cantare mi diede una carica di fiducia straordinaria».

Quel pezzo porta due firme da far tremare i polsi: testo di Franco Migliacci e musica di Claudio Mattone.
«Una responsabilità incredibile. Avevo conosciuto Claudio quando gli feci ascoltare un provino della mia rielaborazione della Czardas di Monti che sfociò nel mio primo 45 giri, La solitudine: era il 1978. Mi mise sotto contratto e con Mister Volare cesellò quel capolavoro».

A 3 anni ti avevano regalato la prima fisarmonica, a 5 debuttasti al teatro Argentina di Roma, adolescente ti esibivi con il complesso Eduardino e i Casanova.
«Venivamo tutti dal ponte di Casanova, rione Vasto».

Un solo singolo, «Hai detto no!/La strada è il mio mondo». Poi bisogna aspettare «Ancora».
«Fu per me, per gli spettatori, per la critica qualcosa di inatteso, uno sparo nella notte». 

Il pubblico scoprì la più bella voce maschile della canzone italiana.
«Ricordo che quel 5 febbraio, dopo aver cantato il pezzo per la prima volta all'Ariston me ne tornai in hotel, al Nazionale, come imbambolato. Ad attendermi nella hall, mezzo addormentato, c'era Aznavour: mi abbracciò, mi fece i complimenti, poi decise di tradurre Ancora in francese, affidandola a Mireille Mathieu».

Eri al primo lp. Come si continua una carriera iniziata così clamorosamente?
«Alla De Crescenzo, senza farci troppo caso, pensando alla musica, la mia scelta, la mia cura».

Avevi punti di riferimento altissimi.
«Vocalmente dici? Pasquariello per l'interpretazione, Ray Charles per l'ispirazione. Melodicamente mi era chiara la lezione della canzone napoletana classica, gli americani mi avevano illuminato con il jazz, il rhythm'n'blues. E quelli sono rimasti i miei punti di riferimento».

Come si difende un'ugola come la tua dal passare del tempo.
«Si fa quel che si può, almeno un'ora e mezza di esercizi al giorno».

Ti pesano?
«No, mi rendono un uomo che si prende cura di se stesso, che mantiene elastica la sua voce».

Non fossi ateo direi che hai il più classico dei «doni di Dio».
«Beh, diciamo allora che ci ha pensato la natura».

Gli incontri importanti della tua carriera?
«Migliacci e Mattone l'abbiamo già detto, Aznavour pure. Poi verranno Maurizio Fabrizio e Guido Morra, Franco Del Prete e Gianni Guarracino, sino ai grandi jazzisti del mio progetto più recente, Essenze jazz, a partire da sua maestà la tromba Enrico Rava».

Era bello vedervi improvvisare insieme.
«Quella band finalmente mi dava la possibilità di fare una cosa che avevo sempre sognato: scappare dai tempi ridotti della canzone pop, avere a disposizione almeno quelle 8/16 battute per improvvisare, per trovare ogni sera un nuovo vocalizzo, un nuovo fonema, per non ripetermi, insomma».

Quattro canzoni per questi primi quarant'anni, Eduardo. Cosa ricordiamo, dopo «Ancora»?
«Direi Il racconto della sera, del 1985, che segnava l'incontro con Gigi De Rienzo; L'odore del mare del 1987; E La musica va del 91, venduta anche in Francia, e in Gran Bretagna con la versione inglese, The beat goes on, interpretata da Phil Manzanera dei Roxy Music».

E ora?
«Dobbiamo uscire da questo incubo e tornare sul palco. Finché vivremo in mascherina, come nel più triste degli eterni carnevali, io però non riesco a pensare ai concerti, non mi piace nemmeno lo streaming. Che dire? Qualche idea ce l'ho, speriamo di potervela cantare... ancora».

«Ancora» grazie e buon compleanno, Eduardo. 

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