Enrico Caruso al teatro San Carlo di Napoli, la leggenda dei fischi che nessuno sentì

Chiamato dall'impresario del teatro Roberto de Sanna, il grande tenore interpretò Des Grieux nella «Manon» di Massenet

Enrico Caruso
Enrico Caruso
di Donatella Longobardi
Venerdì 24 Febbraio 2023, 11:00
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«Ed ecco, o popoli che mi leggete, ecco l'arcana fisionomia del divo: ecco l'autentica immagine, da un più autentico ritratto del tenore Caruso, partito, un tempo, da Napoli, con più modesta fortuna e che vi ritorna carico di applausi e di quella vile, ma utile cosa che sono i denari!... Questo è il divo che canterà nell'Elixir d'amore....». Sulla prima pagina de «Il Mattino» del 30 dicembre 1901, nella colonna dedicata ai «Mosconi», compare questo scritto e un ritratto a matita di Enrico Caruso. Quella sera il tenore, che vantava già successi in Europa, Sud America e alla Scala, avrebbe cantato per la prima volta al San Carlo. Sarebbe stato Nemorino nell'opera di Donizetti. E il giornale annunciava il suo debutto nel teatro più importante della città dov'era nato in una povera abitazione di Ottocalli il 25 febbraio del 1873, domani saranno 150 anni esatti fa.

Mentre si moltiplicano gli omaggi e le celebrazioni, fa un certo effetto rileggere su quei fogli ingialliti l'attesa, la considerazione e l'affetto che i napoletani mostravano per quel figlio dalla voce unica e strepitosa che aveva iniziato a cantare nella chiesa del rione e come posteggiatore, ma poi aveva fatto carriera lontano. Anche se il vero successo internazionale sarebbe arrivato due anni dopo con l'esordio al Metropolitan di New York, dove rimase in cartellone per 18 stagioni consecutive, praticamente fino alla malattia e alla morte prematura avvenuta per uno strano disegno del destino proprio a Napoli, il 2 agosto del 1921. Afflitto da una pleurite, don Enrico aveva sperato di trovare giovamento nel sole della sua terra e aveva scelto di soggiornare a Sorrento con la moglie americana Dorothy e la figlioletta Gloria.

Ma le sue condizioni precipitarono, tanto che decise di recarsi a Roma per un consulto. Ma non riuscì ad arrivarvi. Inutili le cure del medico-santo Giuseppe Moscati, finì i suoi giorni in una suite dell'hotel Vesuvio davanti al mare che tanto amava. 

Un amore che Napoli ricambiava, anche vent'anni prima. Il San Carlo in quella sera di fine dicembre 1901, s'era vestito a festa per «il divo». Principesse, duchesse, signore in vista, avevano fatto sfoggio di abiti e gioielli. «Il Mattino» del 4 gennaio racconta di «ovazioni, applausi e bis». Mai di fischi, quei fischi che una leggenda metropolitana tramandata da libri e fiction vorrebbe aver allontanato per sempre il tenorissimo dalla sua città, oltre che dal San Carlo.

Ma il successo era stato tale che Caruso restò a Napoli ancora per circa un mese, chiamato dall'impresario del teatro Roberto de Sanna ad interpretare Des Grieux nella «Manon» di Massenet. Il debutto fu fissato per il 16 gennaio del 1902, accanto al tenore napoletano nel ruolo del titolo Rina Giachetti sorella dell'amata Ada anche lei celebre soprano - e madre dei suoi figli italiani, Rodolfo e Enrico jr. Sul podio lo stesso Edoardo Mascheroni che aveva diretto il capolavoro di Donizetti dove Caruso cantava al fianco dell'Adina di Regina Pinkert. Non c'era un posto libero, neppure alle repliche. «Il Mattino» racconta che i due interpreti «furono applauditi ed ammirati in tutta l'opera. Fu bissato il duetto del primo atto e nella romanza "Una furtiva lagrima" il Caruso suscitò l'entusiasmo e la dovette ripetere fra un'ovazione risonante d'applausi».

E applausi e ovazioni con richieste di bis nelle arie più celebri si registravano anche nelle cronache relative alla «Manon» e alle successive quattro rappresentazioni. Il 20 gennaio si sottolinea come «la seconda rappresentazione di "Manon" ebbe un successo ancora più sicuro e un notevole aumento di bis». Il 22 gennaio viene pubblicata una lettera a firma di Jules Massenet a de Sanna datata 17 gennaio in cui il compositore francese, saputo l'esito dell'opera a Napoli, esprime «ammirazione infinita al celebre Caruso», che all'epoca ha solo 28 anni. L'ultima sera, per l'addio del tenore a Napoli, in teatro ci furono «grandi feste». 

Il successo fu registrato anche da un altro quotidiano napoletano «Il Pungolo»: «L'addio di Caruso richiamò un pubblico strabocchevole al San Carlo. Non un posto vuoto, non un biglietto di loggione invenduto. Alle sette il tutto esaurito rosseggiava sulla targhetta dello spaccio. E, pari al concorso, fu il successo. Applausi, chiamate, bis: tutto condito dalla grande cordialità napoletana». Eppure sulle colonne di quel giornale il barone Saverio Procida - che si firmava «p.c. dario» - aveva criticato la performance donizettiana di Enrico. «Il Caruso», scriveva Procida, «ha una voce di valido timbro baritonale, di bel volume, uguale, abbastanza estesa, gagliarda in certi suoni, che costituiscono il segreto del suo successo teatrale, con note d'una potenza rara (il suo si bem è uno squillo nitido e di piena vibrazione argentina), ma pari alle qualità teatrali d'un organo privilegiato a me non risulta il possesso d'una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni e renda più pastosa la voce, più uguale la successione dei suoi suoni, più elastiche le agilità di un canto leggero e fiorito come quello dell'"Elixir", più impeccabili i passaggi, più precisa l'intonazione».

Giudizi in gran parte addolciti dalle cronache delle serate successive e della «Manon», che anche «Il Mattino» descrive come un successo per la signorina Giachetti e per Enrico e la sua «splendida voce che ha un sopravvento vittorioso sulle riserve dei giudizi che, crediamo, sia lecito fare anche agli ammiratori del celebre tenore sulla sua arte e sul suo gusto non ancora perfetti». 

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Lasciata Napoli, Caruso tornò subito a cantare alla Scala dove fu il primo interprete dell'opera «Germania» di Alberto Franchetti, sotto la direzione di Toscanini. Lì l'inglese Gramophone & Typewriterli gli propose di incidere i suoi primi dischi, cosa che avvenne l'11 aprile in una stanza del Grand Hotel de Milan (dove l'anno precedente era morto Verdi). Nel 1904, negli Stati Uniti, già superstar del Met, legò la sua voce alla Victor e alla nascente industria discografica e fu il primo artista a vendere più di un milione copie. A Napoli (e in Italia) non avrebbe mai più cantato. 

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