Morto Ezio Bosso, il pianista che ha commosso l'Italia stroncato dalla malattia a 48 anni

Morto Ezio Bosso, il pianista che ha commosso l'Italia stroncato dalla malattia a 48 anni
di Federico Vacalebre
Venerdì 15 Maggio 2020, 09:39 - Ultimo agg. 16 Maggio, 00:56
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Ezio Bosso è morto a 48 anni, dal 2011 conviveva con una malattia neurodegenerativa diagnosticata dopo l’intervento per un tumore al cervello. Era nato a Torino il 13 settembre 1971 e aspettava la fine dell'emergenza coronavirus per poter uscire dalla sua casa a Bologna: «La prima cosa che farò è mettermi al sole. La seconda sarà abbracciare un albero», aveva detto.

La grande notorierà gli era arrivata nel 2016 con una commovente esibizione al Festival di Sanremo, un vero inno alla musica, ed alla vita, nonostante tutto mettendo in scena con drammatica onestà intellettuale la sua sfida alla Sla, alla vita, allo showbiz, alle ipocrisie che avvolgono le malattie neurodegenerative. Lui, ex Statuto («con loro ho suonato solo per quattro concerti quando avevo 14 anni, ma mi sento ancora un mod», raccontava), pianista, compositore (la sua musica viene usata da coreografi come Christopher Wheeldon, Edwaard Lliang o Rafael Bonchela, da registi teatrali come James Thierrèe, mentre Gabriele Salvatores gli ha affidato le colonne sonore di film come «Io non ho paura», «Quo Vadis baby?» e «Il bambino invisibile»), direttore d'orchestra, partner di Mario Brunello e della London Symphony Orchestra, ti sorprendeva ogni volta. Anche quando gli telefonavi ed iniziavi inizi la conversazione con un banale «Come va?»: «Sdraiato», ti rispondeva, con leggerezza e dignità, ricordando il Modugno degli ultimi tempi che non faceva sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. 
 


​«Propongo me stesso, il mondo che amo e in cui credo. Propongo, spero, un accesso alla musica erroneamente chiamata classica, malamente rinchiusa in un ghetto per pochi, magari anziani e poco interessati al presente. Quella musica nasce per essere di tutti, non di uno solo», spiegava. E su Sanremo: «Ci sono andato prendendomi il rischio, accettando preventivamente il verdetto negativo di chi è convinto che nel tempio della canzone un uomo malandato al pianoforte non avesse grande chance ed ho dimostrato che il pubblico non è così bue come lo si dipinge. Ma poi ho dovuto rifiutare inviti di ogni tipo: come ospite - ho detto che tornerò su Raiuno solo quando trasmetteranno concerti di musica come la mia - ma anche come scrittore o persino come presentatore.
 
 
 
Con album come «The 12th room» aveva conquistato le classifiche, nonostante brani lunghissimo, come una sonata di 45 minuti: «Troppo? Può darsi, ma le persone si sono identificate in quelle note, devono aver capito che al pianoforte sono un ladro di tempo. I miei brani compongono un piccolo percorso meta-narrativo. Forse ho ripetuto anche troppo l'antica teoria secondo cui la vita è composta da dodici stanze: nessuno può ricordare la prima perché quando nasciamo non vediamo, almeno sino a quando non raggiunge l'ultima e tutto ricomincia tornando alla casella di partenza». Il gioco della vita?, gli chiedevi: «È il gioco della musica: lo pratico da 40 anni anche se sembra che io sia nato a Sanremo», rispondeva. A Napoli aveva degli amici dalle tendenze artistiche non proprio «classiche»: «Sono orgoglioso di aver collaborato con Stefano Miele, alias il dj Riva Starr, ma anche con il rapper Lucariello per Cappotto di legno, il brano in cui ha messo in scena, dalla prospettiva di un killer, l'omicidio di Saviano. Non chiudiamo la musica nelle gabbie dei generi».



Ciao Ezio, ciao.

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