Salmo duro e puro a Napoli: «Il rap consumista fa male ai ragazzi»

Salmo duro e puro a Napoli: «Il rap consumista fa male ai ragazzi»
di Federico Vacalebre
Lunedì 12 Novembre 2018, 10:00
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Era a Napoli, ieri, per un firmacopie alla Feltrinelli Express, Salmo, forte del record appena registrato dal suo nuovo album, «Playlist», quasi 10 milioni di stream (9.956.000 per l'esattezza) in un solo giorno su Spotify, ben otto brani - è la prima volta che succede in Italia - nella «global chart». Maurizio Pisciottu (così all'anagrafe), 38 anni, da Olbia, bambino cattivo del rap italiano che vince, allunga, accende la polemica con il vicepremier Salvini, sfida persino i suoi fan: e non solo sul fronte politico («i simpatizzanti di quel filone di pensiero ignorante», sta parlando del leader leghista, «non devono ascoltare rap, che è prima di tutto black culture», sintetizza), ma anche su quello interno, stilistico: nel suo disco più politico - e in direzione ostinata e contraria - ha «azzardato» un «featuring», come ormai si devono esterofilamente chiamare le collaborazioni, con il nemico pubblico n.1 del mucchio selvaggio rap duro e puro, Sfera Ebbasta, il re della trap, coinvolto in «Cabriolet»: «Oddio quanto sono incoerente» si è autotrollato su Instagram quando l'ondata di protesta dei suoi appassionati si è fatta fiume in piena.
 
Ma il brano, tra i più pop/trap di un disco che passa dal fronte elettronico a basi boom bap anni 90, dall'hardcore al footwork (suoni sincopati che ricordano la drum'n' bass), è tra i meno significativi di un disco che si apre con il j'accuse di «90 min», attacco - ispirato dal Childish Gambino di «This is America» - all'Italietta neorazzista, neosovranista, neofighetta, neotrap: «Prima di essere italiano cerca di essere umano» è il verso che sintetizza l'appeal sociopolitico di un disco di pancia, ma anche curatissimo nel marketing, capace, dopo l'exploit «impegnato», di bilanciare sul fronte del cazzeggio lanciando su Pornhub «Ho paura di uscire».

Di «feat» prestigiose, e più interessanti di quelle con Sfera, ce ne sono diverse: c'è «il maestro» Fabri Fibra in «Stai zitto», che tiene insieme un nuovo affondo antixenofobo alla fotografia della rottamazione in atto nella discografia italiana: «I vecchi scureggioni della pop music/ sono un po' in difficoltà, sono confusi/ in classifica per primi solo i rappusi», neologismo inventato per motivi di rima e indicare i «muccusi» del rap; c'è Nitro in «Dispovery channel», inno per una volta credibile alla credibilità di strada (ma sì, scriviamolo in Italiano, che si capisce lo stesso); c'è Coez («io e lui siamo come Ronaldo e Messi nella stessa squadra») in «Sparare alla luna», praticamente una narcosceneggiatura; c'è Nstasia ad azzardare la prima canzone d'amore di Lebon (come lo chiamano i fan), «Il cielo nella stanza», seguito catarticamente da «Tie'», breve strumentale quasi punk per batteria (la suona Salmo) e basso, a reclamare l'anima rock mai nascosta e confermata da «Pxm», che non rinuncia a macheggiare senza peli sulla lingua: «Se penso ad Asia Argento sono ricco dentro / perché manco se mi paga glielo ficco dentro».

Di fronte a pezzi come «Perdonami», ma anche al dolente «Lunedì» ispirato a «Everybody dies in their nightmares», un pezzo di XXXTentacion, Salmo appare davvero come il burattinaio di parole della sua generazione, capace di giocare al dissing ma anche di citare i «Fiori del male», oltre che di mettersi a nudo, nel bene e nel male: «Fare rap vuol dire rappresentare, se stessi e il mondo», conferma lui. «Nel disco si capisce che ho avuto problemi, con la popolarità, la droga, l'amore e la depressione: per me era doveroso buttare tutto dentro. Cadere nel tunnel può succedere a tutti. Io mi ritengo fortunato perché scrivo, il che è terapeutico: dopo Lunedì mi sono sentito rinato, ne sono uscito. Ma scrivere di questo per me è stato doveroso anche pensando alle tante persone che ci sono passate, che in questa storia possono riconoscersi. Secondo me dovrebbero farlo tutti quelli che fanno hip hop, non solo parlare di catene ma mettersi a nudo, dire la propria idea».

Alla fine, «Playlist» parla, soprattutto, di rap al mondo del rap, chi lo ascolta, ma anche chi lo fa: «Questa ondata di rap e consumismo mi fa vomitare: a tutti piacciono le belle cose, ma questo approccio esagerato si riversa sui ragazzini, che magari ai genitori chiedono le Balenciaga anziché il motorino. E così nessuno esce di casa, come nel fenomeno hikikomori in Giappone da cui viene l'ispirazione di un brano come Ho paura di uscire: è in quel posto sicuro dove si rintanano ragazzi spaventati che nasce l'haterismo». Intanto Salvini gli ha risposto, sempre via tweet: «Mamma mia che tristezza, apri la mente, fratello!». E, intorno, il circo mediatico impazza.
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