Nick Cave, dodici litanie per un uomo solo al piano

Nick Cave
Nick Cave
di Federico Vacalebre
Lunedì 30 Novembre 2020, 15:10 - Ultimo agg. 15:18
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Il vuoto va riempito, altrimenti c'è il rischio di caderci. L'assenza va trasformata in presenza, altrimenti c'è il rischio ci vinca assediandoci. La clausura forzata da pandemia va trasformata in occasione di rinascita, altrimenti può farci morire dentro. Nick Cave, sul vuoto, l'assenza, il bisogno di rinascere lavora almeno dal 14 luglio 2015, il giorno della morte di Arthur, il figlio quindicenne caduto da una scogliera a Ovingdean Gap, vicino Brighton, dopo aver assunto dosi abbondanti di Lsd.

Vuoti e assenze forse impossibili da esorcizzare, come i fantasmi evocati da «Ghosteen» l'anno scorso, sono protagonisti dei due dischi che vedono protagonista il sessantatreenne di Warracknabeal. Il primo, «Idiot prayer», doppio album su cd e vinile, è la testimonianza fedele di un concerto tenuto il 19 giugno a Londra, nella West Hall dell'Alexandra Palace. Il diavolo australiano è solitario al pianoforte, a congelare alcuni dei suoi torridi materiali incisi con i Bad Seeds ma anche i Grinderman, peccato manchi ancora all'appello il periodo rimosso dei furiosi Birthday Party, così lontano da questo (im)possibile approdo, che guarda al John Cale solitario di alcune stagioni, ma controllandosi ancora di più, quasi fosse ormai inutile mostrare la furia che cova dentro.

«Quando è arrivata la pandemia il mondo è entrato in lockdown ed è precipitato in un silenzio inquietante e riflessivo. È stato in questo silenzio che ho iniziato a pensare all'idea non solo di registrare le canzoni, ma anche di filmarle», spiega Cave, che ha trasformato la sua esibizione anche in un appuntamento in rete e poi in un film, sedendo alla tastiera circondato da «funzionari anti-Covid con termometri, operatori con le mascherine, tecnici dall'aspetto nervoso e contenitori di gel per le mani», per creare qualcosa che «parlava in questo tempo incerto, pur non essendo in nessun modo soggiogato a esso».

Ottantaquattro minuti, ventidue canzoni, cavalcate minimaliste nel tentativo di non farsi troppo male nel rileggere il proprio passato che non passa, malinconie esistenzialiste che non conoscono cura se non il canto, sempre più controllato, solo apparentemente meno scartavetrante.

Autore grandissimo, a suo modo classico come Brel o Costello per non ripetere il nome dell'ex Velvet Underground, ci regala un recitarcantando prezioso tra perle come «Waiting for you», «Nobody's baby now», la strepitosa «Into my arms», il capolavoro «The mercy seat», la stravolta «Palaces of Montezuma», «Papa won't leave you, Henry» che dice addio al folk rock sulfureo dell'originale, la ballata inedita «Euthanasia» che offre forse il verso chiave dell'operazione, della vita stessa di Cave: «Cercandoti, mi sono perso». E «Galleon ship», che ci riporta sul vascello fantasma di questi giorni indicibili.

«Una preghiera nel vuoto, il ricordo di un momento strano e precario della storia», ipotizza lui, che firma anche i testi delle dodici «L.I.T.A.N.I.E.S.» che hanno dato il titolo alla nuova opera da camera di Nicholas Lens appena pubblicata dalla Deutsche Grammophon: «Una forma pura di poesia, una forma lirica di minimalismo che potrebbe portare a uno stato di trance», secondo il compositore belga, che aveva già lavorato con Cave nel 2014 per «Shell shock», dopo aver diviso «Slow man» con il Nobel Coetzee. Anche qui tutto è nato durante il primo lockdown, quando il silenzio e la natura ritrovata nelle passeggiate hanno riportato alla mente del musicista la visita al tempio Zen di Runzai in Giappone. Su quello spunto il rocker ha scritto «delle suppliche religiose», accorgendosi di «aver scritto litanie per tutta la mia vita». Affidate a un ensemble e diversi musicisti, tra cui la figlia di Lens, Clara-Lane, che suona le tastiere, aiuta la produzione e canta alcune parti vocali, le litanie parlano di nascita, morte, rinascita, i suoni sono immobili come le parole, si colorano di trascendente anche se in forma laica, a partire dal primo brano, la litania della divina assenza.

Se, a questo punto, volete sapere di più su Nick, magari anche sulla prima parte della sua carriera e vita, allora ben più spericolata, nelle librerie c'è «Stranger than kindness» (ilSaggiatore, pagine 273, euro 38), una sorta di autobiografia per immagini: i testi originali delle canzoni scritti a penna o a matita (abbiamo già letto un suo libro tutto scritto sui sacchetti per vomitare degli aeroplani), quadri dipinti con il sangue, mappe, collage, oggetti pescati nei mercatini delle pulci di Berlino, fotografie... Un dietro le quinte di un artista maledetto, anche troppo.

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