Capossela: «Ballate dal Medioevo
prossimo venturo»

Vinicio Capossela
Vinicio Capossela
di Federico Vacalebre
Venerdì 17 Maggio 2019, 21:05 - Ultimo agg. 21 Maggio, 15:56
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Le parole sono pietre. E allora: «Ballate per uomini e bestie» è il titolo del nuovo, feroce, bellissimo, cd di Vinicio Capossela, in uscita oggi. «Ballate» per poter andare oltre la forma canzone, per tornare prima della forma canzone, per scegliere la lunghezza necessaria a raccontare una storia, a descrivere un personaggio, ad evocare un fantasma. «Uomini» e «bestie» sono i personaggi di questa sorta di concept album, con i primi decisamente bestiali e le seconde spesso umanizzate, ma non come nei cartoon Disney.

Allora Vinicio: come distinguere gli uomini dalle bestie al tempo in cui pietà l'è morta e l'oceano è diventato tomba di uomini uccisi dalla follia (di)umana e bestie uccise dalla plastica (e dalla follia disumana)?
«L'insieme delle due categorie costituisce da un lato il tutto quanto della creazione e mi permette una specie di cantata per le creature. Ma spesso gli animali vengono tirati in ballo per descrivere caratteri umani, allora parliamo dell'uomo nella sua più ampia unità di uomo e di bestia, anzi, delle molte bestie che si porta dentro. Ecco, così, il bestiario umano in versione completa con accessori».

Dopo le «Canzoni della Cupa» di tre anni fa, ancora un disco scritto a Calitri, anche se guardando oltre, più lontano.
«Questo non è un disco geografico, è un disco a-storico. Fuori dalla storia. E in questo senso luoghi fuori dalla Storia come i paesi dell'Irpinia nell'inverno possono essere un luogo adatto a sottrarsi dalla dittatura dell'attualità. L'antico borgo quasi disabitato del paese, le sue grotte, sono un perfetto rifugio, soprattutto all'inizio dell'anno. Lì mi sono ritirato a partire da sette anni fa, a ogni inizio di anno. Lo studio, il fuoco, i fuochi di sant'Antonio sono stati l'ambiente della scrittura. E poi una specie di luogo rurale materno, un incrocio tra una stalla e una chiesa, sopra un monte che canta, è stata la sede delle registrazioni. Un giorno mi sono reso conto che andavo a rifugiarmi lì perché tutto intorno era peste, e allora ho iniziato a scrivere della peste».

Il primo singolo, «Il povero cristo» sembra parlare dell'impossibilità di una vera Buona Novella.
«Non è impossibile, ma è molto difficile, quasi fuori dalla portata dell'uomo. Difficile perché per amare, per superare l'ingombro di se stessi e raggiungere l'altro ci vuole lavoro, fatica. L'odio, l'egoismo, il mors tua vita mea, è molto più facile».

Il video diretto da Daniele Ciprì è ambientato a Riace, il paese dove il sindaco Mimmo Lucano aveva aperto le porte ai migranti in un tentativo di vera integrazione.
«Riace è stato un tentativo di mettere in pratica la Buona Novella e dove questa possibilità è stata negata. Senza voler dare a nessuno la palma del povero Cristo, in questo momento storico chi lascia tutto e arriva su un barcone è più povero Cristo di altri».

«La peste», dedicato al dramma di Tiziana Cantone, racconta gli untori della rete, «let's tweet again» è lo slogan degli anni di silicio e silicone. Torniamo all'antitesi tra apocalittici e integrati? Dobbiamo difenderci dalla modernità o c'è speranza di imparare a usarla?
«La modernità ci porta in dote innovazioni tecnologiche che necessitano di sempre maggiore capacità e conoscenza. Si hanno a disposizioni macchine sempre più potenti, che per ragioni di mercato vengono rese sempre più semplici nell'uso. Ma sono strumenti potenti che necessitano di una patente di guida, altrimenti si va in giro con una Ferrari e si investe la gente per strada. Attualmente c'è uno strumento potentissimo, la rete, e non c'è una educazione a impiegarlo. Manca l'educazione etica, civica, non c'è una normativa; c'è invece una deresponsabilizzazione collettiva. È una fase primitiva in cui possono accadere cose che arrivano a distruggere le persone, così, con leggerezza, come fosse goliardia. L'odio, la delazione, la diffamazione, la pornografia comportamentale, il voyeurismo hanno a disposizione un mezzo di trasmissione quale non si è mai visto. Capillare, virale, appunto. Occorrerà lavorare per imparare a usarlo con consapevolezza. E il lavoro è sempre da fare sull'educazione e sulla cultura. Ma già denunciare i sintomi, può essere l'inizio della guarigione».

Ci sono diverse citazioni/tentazioni letterarie, come sempre, dal «Decamerone» a Oscar Wilde, da Keats ai «Musicanti di Brema». Per non dire dei riferimenti religiosi.
«Ci sono fiabe, poesie, ballate, fatti di cronaca, detti popolari, trattati e canzoni personali. La religione? Fornisce grandi mitologie, mette a fuoco l'anima degli uomini. È un peccato rinunciare alla forza e alla meraviglia delle scritture sacre, pur non disponendo della fede».

La riflessione sull'impossibilità, o sul tradimento, del cristianesimo continua con i ragionamenti sulla pena di morte, con le nuove tentazioni di sant'Antonio.
«La religione ci offre sempre delle allegorie che spesso la cultura popolare ha rielaborato, come i proverbi, per spiegarsi il mondo. Sant'Antonio con il suo maiale è proverbiale. Nella sua notte si bruciano fuochi, gli animali parlano. Ho provato ad aggiornare le tentazione con cui il male si fa strada nell'animo umano. Cristo, scriveva Wilde, non è venuto sulla terra a salvarci, ma a insegnare agli uomini a salvarsi l'un l'altro. Questa è stata la grande rivoluzione del messaggio cristiano, così spesso tradita, come ben denunzia la Ballata del carcere di Reading».

Canzone dopo canzone, incontriamo strane bestie: penso all'uro, animale scomparso che si ritrova dipinto nelle grotte di Lascaux, ai lupi mannari, alla lumaca-elogio della lentezza.
«C'è il Loup Garou, il licantropo melanconico che durante il rito elettorale, quando il paese si denuda viene assalito da un desiderio di carne cruda. Il caso di un uomo che nel 1600 sosteneva di avere il pelo sotto la pelle e viene così scorticato per il suo bene. C'è una giraffa scappata da un circo, che con la sua bellezza, nella sua corsa impossibile mette a nudo tutta la grettezza del mondo esteriore che ha intorno. Viene narcotizzata e muore, sempre per il suo bene. C'è il percorso cosmico della lumaca a ricordarci della sacralità della lentezza e della grandezza del farsi piccoli. L'umile può accogliere l'immenso, chi è già pieno di se non ha spazio dove accogliere nulla».

Strumenti antichi, orchestre sinfoniche, punk medievale, musica elettronica: quanto sono stati importanti nuove e storiche collaborazioni?
«Di Teho Teardo avevo sentito il magnifico Music for wilder man e ho rubato la sua ipnotica dimestichezza col selvaggio. Daniele Sepe è il migliore mastro concertatore possibile di un pezzo politico e ironico come I musicanti di Brema. Generosamente va oltre l'autocelebrazione e si accompagna a una serie di giovani discepoli, straordinari musicisti che mi hanno fatto riconoscere la grande e perdurante vitalità creativa di Napoli. Massimo Zamboni è l'uomo che tutti vorrebbero avere per fratello maggiore: educazione, senso civico, cultura sempre dal lato punk della vita. Marc Ribot va avanti nel suo genio, sa incutere timore e poi disarmarti con un sorriso. E poi devo segnalare lo straordinario lavoro di arrangiamento di Raffaele Tiseo da Benevento e di Stefano Nanni».

Com'è messa l'Italia che ha paura degli stranieri, che deve riscoprire «Bella ciao» e appendere lenzuola di protesta ai balconi?
«C'è una pestilenza in atto, si tratta di sviluppare gli anticorpi. Anche il canto può fortificare. Come all'inizio di ogni pestilenza si tende a non volere ammettere il morbo. La denunzia del malanno può stimolare l'inizio della diagnosi. Questo vorrebbe essere un disco di poesia, filosofia e denuncia».

E dal vivo, come saranno queste «Ballate per uomini e bestie»?
«La parte estiva sarà fatta di concerti speciali, una sorta di atti unici in per affinità al luogo dell'esecuzione, si lavora su una canzone o un concetto tratto da queste ballate.

La rappresentazione dell'intero album invece sarà in autunno, in teatro. Un concerto che immagino pittorico».

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