Francesco Bianconi solista: «Canzoni d'amore e paura»

Francesco Bianconi 2020
Francesco Bianconi 2020
di Federico Vacalebre
Sabato 17 Ottobre 2020, 10:24 - Ultimo agg. 11:03
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«Non è tempo di cantare/ alterare la realtà/ però anche Schopenhauer/ scrisse di felicità»: l'incipit di «Forever» (Bmg), esordio da solista di Francesco Bianconi, in pausa sabbatica dai Baustelle, dichiara le ambizioni di un disco di canzoni che vorrebbero restare, come suggerisce il titolo. Niente batteria, niente sezione ritmica, la voce baritonale del quarantasettenne cantautore di Montepulciano si poggia sulle note neoclassiche di un pianoforte e degli archi del Quartetto Balanescu, muovendosi al confine tra lieder, chanson, minimalismo neoesistenzialista... 

Ci vuol coraggio a fare un disco così controcorrente, poco sbarazzino, mai leggero o superficiale, che chiede attenzione per i testi, non li alleggerisce con un bel groove, un tapum tapum digitale, una battutina maliziosa.
«Coraggioso sì, perché è il disco di un uomo che un po' di coraggio l'ha trovato. È frutto di una mia maturazione, di una mia esplorazione.

In qualche modo sono più risolto, più tranquillo con me stesso. E forse si sente».

Eppure trovarsi senza Rachele Bastrenghi e Claudio Brasini, i Baustelle insomma, poteva farti venire l'ansia da prestazione.
«È vero, ma è successo il contrario. Con la band io rivesto anche il ruolo di produttore/controllore, finendo per perdermi la parte più spensierata di questo mestiere. Facendo da solo ho deciso subito che mi sarei liberato di questo incarico e mi sono gettato».

Sembrerebbe un disco di metacanzoni. Di citazioni che forse non sono tali. «Go» forse non c'entra con i Talking Heads di «Take me to the river» e «Zuma beach» è davvero solo il racconto di quando andasti a vedere i Pixies, ma quando canti «All'armi, patrioti», sapendoti battiatomane, come hai confessato anche nell'ultimo numero di «Linus», è difficile non pensare a «Ups, patriots to arm».
«È vero, ma sono davvero coincidenze. So della spiaggia di Zuma a cui Neil Young ha intitolato un disco capolavoro, so persino che la citano i Rolling Stones in Some girls, ma con la mia fidanzata eravamo su quella spiaggia. Per la prima volta avevo quell'oceano davanti a me, una mattina di sole, volevo fare il bagno, lei me lo sconsigliava, io ostinato stavo per gettarmi quando un bagnino di quelli dei film mi fermò, spiegandomi che quelle erano acque per surfisti e nuotatori provetti. Anche Battiato spunta fuori così: ho confessato di non aver ascoltato altro che Franco per anni, ma... stavolta è innocente, o almeno io sono innocente».

O incosciente.
«Ci può stare, c'è tanto che avviene nella nostra mente in stato di incoscienza».

Echi di Brel, Scott Walker, Cohen, Battiato (anche quello dei lieder)... Sembri orgogliosamente sottrarti ai tuo tempi, ai nostri tempi.
«È quel che volevo, ho inseguito canzoni che restassero, per forma, per contenuto. Volevo fare un disco del 1700».

O forse degli anni Settanta.
«Quelli più crepuscolari e sperimentali, certo. Ho ascoltato molto Desertshore di Nico in fase compositiva, ma anche Sinatra e tanta musica classica».

La chanteuse dei Velvet Underground compose quel capolavoro del 1970 a Positano.
«Voce, armonium, John Cale come produttore, dediche a Brian Jones e al figlio avuto da Alain Delon: una perla davvero. E la cornice di Positano, immagino, avrà avuto i suoi meriti».

I testi sono molto letterari, ma anche molto personali eppure politici. In «Il bene» scrivi che è inutile «parlare ancora di umana comunità», e poi: «Le elezioni, l'immondizia, l'ora di filosofia/ mi hanno reso con gli anni un nichilista/ come tutti gli altri ormai». In «Andante» ci sono «i fascisti in città». Nelle altre canzoni spuntano fuori terroristi, attentatori, Ku Klux Klan, un «Assassino dilettante»...
«Il disco è nato prima del coronavirus, per fortuna avevo trovato prima quel coraggio di cui parlavamo all'inizio, altrimenti... Anche quando canto d'amore, e ce n'è tanto nel disco, la cornice è quella che viviamo, in questo non c'è atemporalità. E, lo confesso, sento odore di violenza, vedo colori scuri, vivo paure che credevo non si sarebbero più ripresentate. L'altro giorno me ne andavo in bici con la mia compagna quando un gruppo di bulletti mi ha gridato: Brutto frocio di merda. Con questo risentimento che si trasforma in odio gratuito inizio ad avere paura per il futuro, lo dico anche da padre». 

Sembra di sentire Leonard Cohen mentre presentava un testo tristemente profetico come quello di «The future». Ma torniamo a te, bello il contributo delle voci di Rufus Wainwright (in italiano!), Eleanor Friedberger, Kazu Makino e Hindi Zahra.
«Senza presunzione, mi chiedevo perché la canzone italiana deve restare sempre chiusa tra i confini del Belpaese. Volevo le loro parole e lingue e ugole, gettare ponti invece che alzare muri».

«Certi uomini» è spietata. «Certi uomini vivono per i soldi/ certi bastardi per il potere/ i ragazzi vivono per vivere/ le anime sante per trasmigrare.../ i drogati per la droga/ Certi uomini vivono per la fede/... Certi miei amici non sanno dove andare/ i cantanti ucciderebbero per apparire/ in un programma in televisione/ dove i discografici morti della Warner, della Universal e della Sony/ poi gli pubblicano».
«È una canzone di vita e di paura della morte». 

E di sassolini tolti dalle scarpe, visto come tratti i discografici. E del solito fantasma di Battiato: «Perché io vivo come fossi un animale». Ma lui non avrebbe mai usato la parola di quattro lettere che indica il genitale femminile come fai tu nel brano. Ma torniamo al primo pezzo, a «Il bene»: «Lasciamoci indietro tutta questa merda/ e poi scriviamolo su un muro/ che staremo sempre insieme/ E dillo a chi ti pare/ e non lo dire mai a nessuno/ che Francesco cerca il bene».
«Esattamente. E Francesco in questo disco sono sempre e soltanto io».

presentazione a Napoli il 4 novembre, alle 18.30 alla Domus Ars, via Santa Chiara 10c 

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